Chi sono gli intellettuali italiani? Dove si rintanano? Chi li tiene sequestrati? Domande che sorgono così, spontanee, mentre la voragine si allarga e diventa difficile stabilire i nessi e le concause che hanno portato questo paese sul lastrico delle idee prima ancora che dei soldi e del malaffare. Se c'è una speranza che può essere legata al concetto di crisi è che le idee abbiano modo di rinnovarsi, di rompere con il passato e di aprire vie nuove. D'altra parte è la Storia che ci insegna come la continuità sia una chimera e come ogni singolo passo avanti, quando c'è stato, sia stato motivato da una crisi, da una rottura della continuità appunto. Ma non si sentono voci: non si sente una larga presa di posizione da parte di tutti coloro che dovrebbero contribuire a formare queste idee, che dovrebbero aiutarci a creare un'opinione, tanto privata quanto pubblica. Ecco perché gli intellettuali sono necessari. Senza scomodare professori e professoroni, giuristi e giuslavoristi, che per quanto mi riguarda possono rimanere nelle aule delle loro accademie visto che finora non sono serviti a niente; parlo di intellettuali militanti, in presa diretta, che siano disposti a rischiare e a proporre qualcosa che si discosti dalla retriva omologazione di regime in cui stiamo affondando. Il motivo di questa ricerca è tutto sommato semplice: abbiamo bisogno di concetti, di parole, di ragionamenti che la mentalità telecratica sta tentando con ogni mezzo di distruggere. Abbiamo bisogno di maggiore complessità, di maggiori capacità dialettiche e critiche se vogliamo imparare a discernere l'utile dal superfluo, le palle dalle cose che contano.
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