Va bene, un ultimo post sul calcio e poi vedrò di lasciar perdere. A commentare il disastro sportivo e politico sportivo ci pensano già in tanti e non vale la pena di insistere. Una riflessione, però: vista l'importanza che il movimento calcistico riveste in seno alla nazione, com'è possibile esprimere tanta miseria a livello di campionato del mondo? Parlano tutti di calcio, ci sono tre quotidiani sportivi dedicati per il novanta percento a questo sport; la pratica pallonara coinvolge tutti, grandi e piccini, ricchi e poveri, belli e brutti. Ci sono decine e decine di trasmissioni calcistiche, con opinionisti, ex calciatori bolliti, arbitri trombati e veline. Prolificano le scuole calcio, quasi tutti i bambini d'Italia prendono a calci un pallone. Girano soldi, tantissimi. Ma il movimento fa acqua da tutte le parti. Se si eccettua la bella e fortunata vittoria di quattro anni fa, sono decenni che l'Italia colleziona magre figure, figuracce, alternate a tremende botte di deretano. Per il resto, una storia di differenza reti, di classifiche avulse, di pali, di traverse, di scandali. Non c'è organizzazione, ma un solo e unico credo: lo stellone. La magica cometa che ci protegge e che tutti invochiamo quando siamo ad un passo dal baratro. Non c'è scuola: non c'è continuità, non c'è progettualità. Il calcio, come non mai, è paradigma perfetto dell'Italia. Sempre alla ricerca del terno al lotto, del miracolo, del colpo risolutivo. Un paese capace di prodursi in imprevedibili impennate ma più spesso avvezzo a capitolare rovinosamente, senza attenuanti. Presuntuoso da una parte, abulico dall'altra. Ci siamo votati al Dio Pallone (o a Eupalla come diceva Gianni Brera) ma anche qui a modo nostro: in modo incasinato, inconcludente, maneggione. C'è un bacino di talenti in erba spropositato, ma nessuno in grado di far crescere un campione. E allora, smettiamola di prenderci in giro. Basta santini, stelloni, cabale, aglio. Basta con quella parte di noi stessi che ci fa ridere dietro da mezzo mondo.
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