raspo maschio senza rischio

Va bene, la categoria dei professori non mi piace, lo ammetto. Ma vederli arrabattarsi mentre tentano maldestre prove pubblicitarie mi ha fatto morire dal ridere. Smessa la cattedra i raspi di vino, o il dentifricio o chissà che altro. Non mi interessa se è per una buona causa, non mi importa niente se dietro questa trovata c'è chissà quale ragionamento filantropico: rido e basta, e dileggio questi signori, che tra un senato accademico e un simposio con Cartesio si concedono alle battute idiote di uno spot. Curioso come il linguaggio pubblicitario si sia ormai avviato a ricercare pezze d'appoggio non più nella bianca dentiera di un attore, ma nella solida base di un dispensatore di conoscenza professionista, garanzia di qualità per menti semplici e meno semplici, che nel titolo di professore intravedono qualcosa di più di una conferma: la dissipazione del dubbio. Professore, università, accademia, quelle strane parrucche, quelle palandrane di Carnevale: basta poco per scatenare le fantasie del pubblico, stuzzicando la gente (così almeno deve credere chi confeziona questi spot) nella sua parte più debole, che è anche quella ereditata da nonni e padri: la deferenza verso l'istituzione, la genuflessione nei confronti del magistero, e verso tutti i Moloch di ogni tempo che le persone amano crearsi da sole, come tanti vitelli d'oro di fronte a cui prostrarsi. Ogni vaglio critico è azzerato: c'è il professore, la mente certificata dallo Stato, che con la sua concessione e consacrazione ci dispensa dal farci delle domande autonome per affidare l'anima a non si sa bene chi. Un signore, un ragazzo stempiato, ma dottore, professore, emerito, asdrubale, accipicchiole. Prosit.

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