Eravamo in tre milioni, e il cielo era terso e azzurro. Mi riesce difficile crederlo se ripenso alla piazza deserta in cui mi sono presentato armato di tanta buona volontà. Qualche difficoltà a far intendere il mio nome di battesimo, ma è una vita che mi si ripresenta la stessa scena e ormai non ci faccio più neanche caso. Posso dire che si sia trattato di una scelta politica consapevole, di una conferma di un percorso umano e culturale che ora, proprio ora, mi sembra più concreto e compiuto. Si passa l'esperienza attraverso il setaccio del proprio vaglio critico, si prendono delle decisioni, si capisce che cosa si ritiene giusto e che cosa invece ripugna. Il disincanto, la noia, la delusione fanno alla svelta a trasformarsi in indifferenza, e, a conti fatti, in qualunquismo. Ieri invece eravamo tre milioni con la moneta di Dante in una mano e la matita nell'altra, pronti a tracciare un segno su una scheda, ma soprattutto, almeno per quanto mi riguarda, ansiosi di dire: io non sono così, io credo in altre cose, ho altre cose da dire e soprattutto in altro modo. Viene da credere che quel concetto sfibrato dalla retorica che è la democrazia acquisti vero valore solo attraverso piccole e continue battaglie contro la propria pigrizia: contro la voglia di non preoccuparsi, di demandare nelle mani di qualche praticone una certa parte del proprio futuro. Tre milioni, comunque. Sarebbe ridicolo sminuzzare la cifra con le solite cavolate: sei milioni di occhi, tre milioni di cuori etc... Basta dire tre milioni, basta provare a vedere in fila tre milioni di persone per capire che qualcosa è successo davvero.
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