Questa è una città senza nome. I suoi abitanti ne hanno perso la memoria. Si dice sia incastrata tra altre città con usi e costumi simili; un vecchio torrione in pietra rossa, un tempo destinato agli avvistamenti, la sovrasta, e un girone di anelli concentrici di pietra grigia la attraversa da un capo all'altro. A macchia di leopardo sono sparsi grappoli di terreno incolto, appezzamenti brulli con crateri artificiali di cui si ignora lo scopo. In mezzo a questi crateri si ergono strutture metalliche ora ancorate al suolo ora sospese, argani e funi disegnano reticolati in cielo, dove il rosso e il grigio delle polveri ha cambiato la composizione dell'aria. Difficilmente un viaggiatore trova un luogo in cui sedersi, perché le panche sono state bandite, ritenute in tempo antico simbolo di ignavia e di debolezza. Gli alberi sono imbrigliati in strane imbragature che li tengono ancorati alla terra, ma non sempre questo accorgimento si rivela sufficiente, e questi, vinti dalla gravità, si rovesciano su se stessi, alzando le radici al cielo e sparpagliando i rami e le povere frasche al suolo. Qualcuno ha parlato di alberi cadavere. In questa città i libri sono generalmente banditi, le poche iscrizioni che vi si trovano sono risalenti ad epoche antiche, ma tuttavia sono tollerati volumi di algebra e di calcolo integrale, di scienze statistiche, statiche e dinamiche. Le scienze naturali invece furono proibite o sconsigliate in anni di cui non si conserva la memoria. Gli abitanti sono molto orgogliosi della loro città, la considerano un'avanguardia del progresso e un esempio per tutte le altre.
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