La reazione comune, e ostinata, di chi in questa tornata elettorale ha perso è stata più o meno la stessa: vediamo che cosa siete capaci di fare voi. Una cassandra, bella e buona. E in questa alzata di sopracciglio stizzita e un po' infantile (è una frase che potrebbe dire un bambino, non un uomo di governo) si legge in filigrana non solo tutta la povertà di idee che ha accompagnato in questi anni la compagine di centrodestra, ma anche quella che a mio avviso è stata la principale causa di questa debacle: l'arroganza. Una superbia piccata e rancorosa che ha accompagnato ogni singolo atto di questi ultimi mesi, dalla disperata arrampicata sugli specchi del caso Ruby fino alle calunnie della campagna elettorale milanese. Una mancanza di umiltà, e alla fine di realtà, insita nel Dna di questi esponenti politici che alla fine non ha potuto fare a meno di esplodere e trascinare con sé ogni residua illusione, ogni effetto speciale, ogni mancata promessa. E' quasi paradossale non avere l'onestà intellettuale di avanzare qualche blanda autocritica all'indomani di una sconfitta così evidente, specie se i toni della giustificazione ricorrono a mezzucci del genere: sbagliata la scelta dei candidati, errore di comunicazione. Nessuna, dico nessuna considerazione di merito. Nessuno che si prenda una responsabilità, ad eccezione dell'ex ministro dei Beni Culturali, triste coscienza solitaria che nel fragore della caduta ha trovato la forza di dire basta. Chi ha vinto d'altro canto non ha messo in campo sceneggiate: l'unica promessa che ho sentito è stata quella di cambiare, che non è comunque poco. Già cambiare rispetto alla boria inconcludente di chi finora ha governato sarebbe un buon successo. Vedremo, vedremo tutti quello che potrà accadere. Intanto sappiamo da dove veniamo, sappiamo quello che è stato fatto e come è stato fatto: i cittadini evidentemente hanno fatto i loro conti e hanno preso una decisione. Libera, indipendente. Perché è anche ora di finirla di usare il popolo come testa d'ariete quando ti dice bene, salvo poi, quando il popolo di te s'è stancato, ricorrere alle perifrasi del politichese per ancorarsi alla cadrega. D'altra parte, da che mondo è mondo, si rottama quello che non funziona.
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