Posto che i ballottaggi sono un rebus in cui è meglio non riporre troppe certezze; posto che il massiccio impiego di armi mediatiche del centrodestra potrebbe sortire anche questa volta il suo tragico effetto, non posso fare a meno di farmi l'ingenua domanda: perché continuare con B. e la sua scalcinata coorte di adulatori? Perché la destra italiana, salvo marginali alzate di scudo, non riesce a fare a meno di identificarsi con i disvalori di questo personaggio? Il fenomeno è curioso, strano, sfuggente. In tutto l'occidente chi perde colpi viene sostituito, e anche i leader sulla breccia già contemplano la possibilità di essere rimpiazzati da esponenti più giovani. Fa parte della vita, viene da dire: non solo passa la mano chi perde, ma anche chi vince. Due mandati, una manciata di anni di governo e poi via, sotto la prossima classe dirigente, che nel frattempo si è fatta le ossa. Qui no. Tanto a destra che a sinistra, va bene. Ma a destra le cose sono messe ancora peggio, nel senso che non c'è un segretario, non c'è un leader: c'è un padrone, un azionista unico, un mangiafuoco che nel potere a oltranza ha individuato il meccanismo esatto della propria sopravvivenza. Politica, ma non solo politica. In questa occupazione permanente delle idee e dei codici di linguaggio (il berlusconismo è linguaggio in quanto depauperamento massimo del linguaggio) si cela tutto l'abnorme equivoco di cui la destra, insieme a noi tutti, è stata la principale vittima degli ultimi diciassette anni. Privata di dignità, spogliata di qualsiasi matrice culturale, ribaltata a uso e consumo di uno solo, si ritrova oggi a non avere neanche più un alfabeto con cui ri-pensarsi, re-inventarsi, ri-costruirsi, non solo o non tanto nella ricerca di una nuova guida, ma proprio nella ricerca di uno scopo, di una cifra politica. Lo smarrimento, specie tra gli esponenti più colti (che da qualche parte ci saranno pure), immagino sia parecchio. Anche perché risvegliarsi solo ora dalla narcosi denuncia un penoso ritardo.
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