La faccenda della retromarcia sul nucleare è davvero un capolavoro, un'alzata di genio che brilla di luce propria nello sconfinato grigiore megalomane di questo governo. Erano tutti pro nucleare fino a cinque minuti fa. All'indomani di Fukushima, con piglio tracotante, s'era detto che la politica italiana circa il ripristino delle centrali non sarebbe cambiata di un millimetro. Ci avevano spiegato, ci avevano rassicurato, ci avevano ammansito. Ci avevano detto paternamente che non bisognava lasciarsi guidare dall'onda emotiva. Poi il cambio di rotta, dalla sera alla mattina, in concomitanza sospetta (è dire poco) con l'appuntamento referendario: tre quesiti cruciali, e tutti scomodi per i berluscones: nucleare, privatizzazione dell'acqua, legittimo impedimento. Ovviamente non si tratta di una presa di coscienza, né tantomento di un ragionamento politico. Si tratta di uno spregevole (ma geniale) tentativo di depotenziare la possibile carica detonante del referendum togliendo il quesito principe, quello sul quale questo governo si era speso di più ma verso cui gli italiani si sono sempre rivelati scettici. Tolto il nucleare, gli altri due quesiti, per quanto importantissimi, perdono potere attrattivo, e si sa che non ci vuole molto per sabotare la soglia del quorum. Ora due nodi di estrema gravità e importanza, quali sono l'acqua pubblica e il legittimo impedimento, rischiano di andare in soffitta. E per il nucleare, naturalmente, non s'è risolto un bel niente: un domani, magari molto prossimo, cercheranno di farcelo passare attraverso qualche altro canale legislativo (mettiamola così), senza clamore, nella disattenzione generale, e soprattutto senza l'incomodo del referendum. Insomma, viene il sospetto che le menti migliori di questa classe dirigente siano quelle che lavorano nell'ombra: i ghost writer, i suggeritori, i tessitori di trame che non vanno in televisione e che attuano soluzioni di questo tipo. Mentre noi, dall'altra parte, ci beviamo tutto. Anche l'acqua che tra poco non sarà più nostra.
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