Prima o poi, pensavo fino a qualche tempo fa, l'opinione pubblica sarà costretta a fare i conti con la miseria culturale (non) prodotta dalla temperie berlusconiana degli ultimi 20 anni. Poi, un po' alla volta, ho inteso che questo non è possibile, perché a quasi nessuno, in buona sostanza, interessa niente del livello culturale del nostro paese. In parole povere: purché se magna. Questa è l'unica, e sconsolata, chiave di lettura che riesco a trovare per spiegarmi fino a che punto la cecità collettiva della nostra società sia stata in grado di accettare e alla fine di metabolizzare questa specie di macchina tritura ragione che da diversi lustri sta mandando all'ammasso i cervelli di intere generazioni. Cresce, in un tripudio di fuffa, l'ammontare cartaceo di attestati universitari e di specializzazioni, mentre declina quell'unica dote mentale che in fondo determina la differenza tra uno schiavo e un uomo libero: la capacità di valutazione. Sarà per questo che un regime così sgangherato, così ripetitivo, così poco interessante è riuscito a imporsi a colpi di televisione spazzatura, aria fritta, chiacchiere, cavilli legali, false apparenze. Perché l'abitudine al pensiero è stata disincentivata, relegata al rango di vecchia scartoffia da soffitta, sostituita da una visione del mondo univoca, votata ad un non meglio chiarito criterio di produttività familistica, dove tutti sono contenti e dove soprattutto una mitologia borghese senza più argini ha assorbito anche le eccedenze intellettive che, in passato, determinarono correnti di pensiero ed eccellenze culturali. E tutto questo a zero spese: senza doversi premurare di dover produrre uno straccio di innovazione o perlomeno l'ombra di pensiero politico, senza avere nemmeno l'impiccio di inventarsi qualcosa che andasse oltre un reaganismo di seconda mano e un po' di avanspettacolo anni Cinquanta. La pancia degli italiani è venuta via davvero a poco. Del cuore, a questo punto, chi se ne frega. Cercasi disperatamente un cervello.
0 commenti:
Posta un commento