Un altissimo esponente di governo, nella tarda serata di ieri sera, ci informa che chi non è d'accordo con il governo ostacola il dialogo. Il doppio salto logico (e mortale) taglia di netto la componente del confronto - e quindi dialettica - per approdare ad un concetto tanto più nitido quanto più sconcertante: chi non è con noi è contro di noi. Non è la prima volta che questo espediente viene impiegato dalla falange più combattiva dei berluscones. Si tratta di una piccola (anzi, grande) aberrazione logica, di uno spudorato pervertimento delle regole democratiche secondo cui, udite udite, la battaglia parlamentare è un inciampo al lavoro del manovratore, un fastidio alla prosecuzione della somma opera del capo. Con un frasetta del genere - detta tra l'altro con l'ormai insopportabile arroganza di chi si crede il padrone - la democrazia viene in pratica ridimensionata a procedura da sveltire, impiccio per legulei. Non solo le regole sono applicate a corrente alternata, non solo un parlamento intero è alle dipendenze di uno solo, non solo la deriva populistica è ormai fuori controllo, ma bisogna pure stare attenti a non dire niente, pena l'accusa di remare contro. Contro a che cosa, poi, è ancora da chiarire. Per il momento bisogna accontentarsi di argomenti logori come "la maggioranza degli italiani ci ha votato", che oltre ad essere un poco penosi, aprono inquietanti squarci su tematiche quali la dittatura della maggioranza e il fatto - di per sé elementare ma mai dire mai con questa classe dirigente - che l'aver vinto le elezioni tre anni fa non consenta di fare il comodo proprio alla faccia di ogni regola e di ogni decoro. A fronte di un quadro come questo, anche la chiosa del ministro appare tutto sommato coerente: un martirio del buon senso, ma in perfetta linea con quanto fatto finora.
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