I cacciatori difendono l'attività venatoria, i credenti esaltano il valore della religione, gli enologi promuovono la produzione vinicola. Allo stesso modo i giornalisti, durante il Festival del giornalismo, difendono se stessi. Sentire editori e addetti ai lavori che argomentano l'insostituibilità dei giornali non è poi molto diverso dal sorbirsi un paio d'ore di televendita. Non stupisce nemmeno la tesi di fondo: internet sì, ma c'è bisogno di qualcuno che "gerarchizzi le notizie". Chi è questo qualcuno? E con che diritto? potremmo replicare. Il bello della libera informazione della rete è proprio questo: tu utente sei responsabile di quello che leggi; tuo è l'onere di capire quello che è importante e quello che non lo è, o meglio: quello che ti interessa e quello che non ti interessa. Nelle parole della vecchia lobby dell'informazione trapela ancora, come un richiamo della foresta, il richiamo alla pedagogia delle masse, alla missione educativa e formativa del Giornalista nei confronti del cittadino. Non è più così. Sostenerlo, dispiace quasi dirlo, è un deplorevole anacronismo. In epoca di soldi al potere non ci si può più fidare di nessuno, men che meno di un editore, men che meno di un giornalista. La realtà che questi baroni non riescono proprio ad accettare è che il contrappeso del potere informativo si stia spostando da un modello sostanzialmente centralizzato ad un modello plurale, dove la frammentazione, che un tempo era sinonimo di incompletezza, ora diventa segnale di molteplicità, di composizione a proprio piacimento. Non più a piacimento di qualcun altro. Le informazioni che voglio me le vado a cercare, le confronto, scopro chi mente e lo metto alla berlina, scavo oltre la cortina di fumo che i media padronali sistematicamente oppongono alla cosa in sé. La realtà, la vita è fatta di queste sfumature, e ognuno, credo, dovrebbe avere il dovere di farsi un'opinione in modo attivo, non più pendendo dalle labbra di un gruppo editoriale. La rete, non dimentichiamolo mai, ha dato e dà voce a tanti talenti che altrimenti sarebbero ridotti al silenzio. Talenti non garantiti, talenti che non hanno partecipato all'abbuffata sessantottina, talenti che non hanno un microfono da reclamare. La rete ha liberato queste energie e queste idee. Il giornalismo non ha fatto che difendere se stesso e i propri diritti acquisiti.
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