Lettera al noto inserto di un noto quotidiano. Scrive un giovane. Nome, numero di matricola, curriculum, e un sottinteso: sono bravo. Oggetto della missiva: mio Dio, come sono tristi i miei coetanei, come sono pigri, come sono incapaci di provare rapporti veri, come sono assuefatti ai social network, come sono incapaci di sopportare lo sforzo fisico (sic). Risponde dalla sua comoda poltrona il giornalista addetto alle lettere: bravo, mi dai un segno di speranza, i giovani d'oggi non sono tutti uguali e così via. Ecco, io credo che finché manterremo questo atteggiamento mentale (e con il noi generico intendo tutti quelli che si oppongono alla deriva del berlusconismo senza necessariamente essere dei comunisti) saremo condannati a perdere sempre. Non solo alle elezioni, ma anche in qualsiasi contraddittorio. Perderemo perché paradossalmente abbiamo abolito la categoria del dubbio, perché partiamo dal presupposto che abbiamo ragione e basta. Anzi, di più: dal presupposto che siamo migliori, che abbiamo abitudini più sane e che quindi deteniamo con naturalezza un'indiscussa superiorità. Non è la prima lettera che leggo in cui a trasudare è questo buonsenso della nonna, questo unguento appiccicoso che sa di compiacimento, e la ragione è tutto sommato semplice: è un sentimento che serpeggia per davvero in certi tipi umani, ma è anche il miglior lasciapassare per la sconfitta. Perché mai un giovane dovrebbe prendere carta e penna e scrivere ad un giornale amico delle scemenze del genere? Per una sola e unica ragione: per farsi dire che è bravo. Siamo al complimento della maestra allo scolaro meritevole o giù di lì, e il problema, o ancora meglio il vero movente è un assoluto bisogno di essere consolati, guidati, confermati nelle proprie intenzioni. E finché il giochino è limitato a chi la pensa come noi, potremmo anche andare avanti all'infinito: io mi complimento con te, tu con me, e come siamo intelligenti, e che bei ragionamenti che facciamo, magari fossero tutti come noi. Fino a ridursi come i premi letterari o quelli cinematografici, dove sono sempre gli stessi a premiarsi a turno. Dispiace dirlo, ma quella del compiacimento è una malattia genetica tipica della sinistra, causa primitiva di invidie, divisioni, piccinerie, ma anche di fatiscenti salotti a base di caviale e salmone, di combriccole dei migliori e di colpetti di gomito tutte le volte che un (supposto) esponente della propria parte ottiene qualche successo (come non so, Bertolucci che viene premiato a Cannes, e va bene: ma mica significa che anche tu che sei sotto la copertina a guardare Fazio abbia qualche merito). E avanti così allora, che tanto non ci batte nessuno, signora marchesa, gradisce ancora un'oliva?
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