"L'arte, che esiste per portare armonia, diventa intrattenimento, che esiste per distrarre, e sta diventando totalitarismo, che esiste per censurare e controllare. Il desiderio di esprimersi diventa, in mancanza dell'artista e di fronte al terrificante, il bisogno di reprimere."
David Mamet, I tre usi del coltello
Questa frase del celebre sceneggiatore americano David Mamet mi ha fatto non poco riflettere; non tanto perché essa costituisca una rivelazione, ma perché con poche, chiare parole, fotografa una verità difficile da smentire: l'arte accorpata a concetti come "spettacolo" e "intrattenimento" diventa una realtà depotenziata, privata della sua carica eversiva, e quindi costruttiva. E' un'arte addomesticata quella che stiamo vivendo in Italia (e probabilmente non solo in Italia) oggi. Lo testimonia lo scarso rispetto che un paese come il nostro riserva al suo patrimonio culturale, un bene che anziché essere vissuto nell'ottica del rilancio e delle potenzialità, diventa ultima delle palle al piede, destinatario delle briciole e dell'elemosina di Stato. Le cause di questo mutamento fatale sono tante, troppe, non le so nemmeno io tutte. Provo a dirne una: la televisione privata che ha ucciso quella pubblica distruggendo i contenuti? La mancanza di una sana cultura popolare che offra spunti di riflessione anziché modellarsi sui peggiori istinti del pubblico? Queste sono solo alcune ipotesi. D'altra parte sarebbe meglio togliersi dalla testa che l'arte, e la cultura in senso lato, siano materia di divertimento, se non nel senso etimologico: conquistare il piacere della fruizione artistica è difficile, serve del tempo, e questo diventa un grosso intralcio nel momento in cui l'arte (sia essa musica, pittura, letteratura...) viene ormai comunemente associata alla voce "tempo libero". E quindi libero da riflessione, problematizzazione, capacità di confrontare. In altre parole: libero dall'avere un'opinione.
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