Non so se sia il caso o meno di fare questa benedetta parata del 2 giugno. Un po' per lo sciupio di soldi, che di questi tempi proprio non è cosa, un po' perché lo sfoggio dell'armamento bellico è fuori dai tempi, e carico di alcune pericolose simbologie del passato. Certo oggi la realtà dell'esercito rappresenta qualcosa di diverso rispetto a ciò che poteva significare cinquanta o anche solo trent'anni fa; il 2 giugno oltretutto sfilano anche le associazioni che con la pratica militare in senso stretto non c'entrano nulla. Quello che vorrei dire è che sarebbe ingiusto criminalizzare (di che poi?) le rappresentative militari e civili in quanto tali, visto che si tratta di uomini e donne che nella stragrande maggioranza dei casi rischiano la vita per tutti. E' il concetto stesso di parata che sembra fuori posto, un aggeggio polveroso che con l'oggi, il qui e ora ha poco a che vedere; è una recitativa antica come i tarocchi, che se poteva avere un senso una volta, oggi non ce l'ha. Troppo rumore, in una terra già squassata da drammi morali e pratici, dagli scandali estesi ad ogni singolo comparto della società civile, fino alle devastazioni del terremoto. Non è il caso di fare parate, parate per che cosa? In onore di cosa? Il 2 giugno si ricorda il referendum del 1946 che ha abolito la monarchia e istituito la Repubblica, primo caso in Italia di votazione a suffragio universale (cioè a dire che prima le donne non votavano): onoriamo questo scatto di civiltà in silenzio, noi cittadini, nel nostro piccolo, provando a non dare per scontati i privilegi che la Repubblica Democratica comporta, in primis il diritto di voto. E chi comanda provi magari a ricordare che siede dove sta per assolvere ad un compito pro tempore e nell'interesse dei cittadini: la Costituzione c'è per essere rispettata, non per farsene un vanto e tentare di pasticciarla a proprio uso e consumo.
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