La singolare presa di posizione dell'establishment è presto detta: tutto ciò che esula dall'establishment stesso non ha legittimità. Singolare davvero, perché la negazione dell'altro da sé potrebbe essere letta, sommariamente, come la nemesi della democrazia. Nemesi che però è incarnata dalle forze politiche presenti in parlamento, votate dai cittadini, e che come tali dovrebbero essere il presidio della democrazia stessa. C'è un chiara contraddizione. Il potere piuttosto che mettersi in discussione è disposto a non concedere all'altro il diritto a esserci: non si tratta solo di una forma di arroganza, ma di una opzione politica che sotto certi aspetti va al di là anche di alcune posizioni autoritarie. Nel potere vigente non riesce a farsi largo l'idea che non esistono istituzioni laiche santificate, e che in politica non vige la norma dell'usucapione, per cui chi si tiene stretto al suo scranno per un tempo abbastanza lungo può rimanere dov'è per diritto acquisito. Non è tanto l'urlare di Grillo a spaventarmi, ma la difficoltà strutturale che il potere incontra nel gestire i cambiamenti, forte della pretesa - assurda - di poterli assorbire, e non già di esserne assorbito. E' un problema di dialettica. A me possono non piacere alcuni aspetti del Movimento 5 Stelle, ma rappresenta qualche decina di migliaia di cittadini, anche politicamente ora, e per ragioni di natura democratica sono tenuto al confronto. E' molto semplice in fin dei conti. I partiti non devono emettere un giudizio: devono prendere atto e regolarsi di conseguenza. E' il bello della democrazia: l'anzianità di servizio non dovrebbe garantire maggiori diritti, per nulla: l'affermazione di una forza, di un'opinione per mezzo delle elezioni democratiche deve essere assunta come referente politico, non c'è distinguo che conti. E' avvenuto con partiti di plastica, abili nel manipolare le folle dall'alto, e vale anche ora, forse a maggior ragione, per un movimento nato da un'esigenza popolare.
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