Il crollo dell'afflusso al voto non è mai una buona notizia. La disaffezione verso la cosa pubblica non può per definizione esserlo, ma non per ragioni romantiche o per sentimentalismi che lasciano il tempo che trovano. No, c'è un motivo più preciso e più prosaico. Quando un cittadino, per legittima delusione, per indolenza o anche solo per distrazione, non vota, lascia un buco, uno spazio vuoto. Tanti buchi fanno una voragine, che oggi è rappresentata da quel 49 e passa percento che non si è recato alle urne. La domanda è: chi riempie quel vuoto? Stiamo parlando di un vuoto di rappresentanza, e quindi di potere che non può restare terra di nessuno. Se con libera scelta decidiamo di non occupare l'unità di controllo che ci è stata democraticamente assegnata, quello spazio verrà riempito da qualcun altro che, possiamo starne certi, non seguirà alcun principio democratico; non avrà bisogno di rendere conto a nessuno; non dovrà nemmeno prendersi la briga di stilare un programma. Con i disastri che la classe politica italiana ha commesso in questi anni era prevedibile, in fondo, un calo della partecipazione. Ma non andare a votare è, come dire, una sconfitta doppia: una sconfitta della tenuta democratica del paese, e una specie di tacito consenso agli uomini di potere che hanno fallito, perché in pratica continuino a fare quello che vogliono, perché tanto metà dei cittadini italiani non si cura di ciò che accade. E' anche un segno di resa, e al di là dei risultati elettorali in sé (interessanti, ma su un campione mutilato dalle assenze) fa ombra questa voragine, questo nulla che prima o poi verrà riempito. Da chi? Da chi?
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