Ed è così che i partiti hanno consumato il delitto perfetto: confezionando una legge elettorale ad hoc, infischiandosene di un referendum che esprimeva la volontà popolare di togliere loro il finanziamento pubblico, infiltrando uomini dappertutto, per un controllo capillare di ogni espressione di potere. Il gioco è riuscito, ed è un gioco di scatole cinesi: il cittadino non vuole il finanziamento pubblico ai partiti, così i partiti, che fanno e disfano in parlamento, cambiano nome al finanziamento, lo chiamano rimborso elettorale, e i parlamentari, che sono nominati da una segreteria e non devono rispondere direttamente all'elettore, approvano senza remore, perché sanno che la loro rielezione non dipenderà dai cittadini, ma dal partito che lì li ha messi. Spero di essere stato chiaro. Ora, io non credo in tutta onestà che questo procedimento possa dirsi molto democratico. La verità è che i partiti in quanto collettori di voti hanno mantenuto se non ulteriormente espanso il potere smisurato che avevano vent'anni fa, all'indomani di Tangentopoli, quando era chiaro a tutti che non si poteva continuare così. Oggi è ancora peggio, nel senso che i partiti si sono organizzati in modo tale da essere totalmente autoreferenziali: hanno i loro uomini nei punti chiave, non devono rendere conto ai cittadini del loro operato, le elezioni sono di fatto depotenziate da una legge elettorale insulsa ma che fa il loro gioco. Prova estrema di questa autoreferenzialità è il fatto che i partiti definiscano antipolitica tutto ciò che è al di fuori del loro raggio d'azione: un bell'atto di arroganza, ma non solo: è il delitto perfetto. O se si preferisce quella anarchia del potere di cui parlava Pasolini quarant'anni fa: il potere che non conosce regole all'infuori di quelle che esso stesso detta, e che ha facoltà di modificare in qualunque momento. Come dire: nessuna regola.
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