A dirla tutta il vago sospetto che le iniziative politiche di marca radicale vengano sistematicamente adombrate, sminuite, oscurate, c'è, ed è anche bello forte. Non sono un sostenitore della causa, ma, come dire, la faccenda sta assumendo una rilevanza che va ben oltre il colore politico in sé. Abbiamo da perderci tutti: ne va di un presidio a favore della laicità dello stato che senza l'impegno radicale andrebbe smantellato o nel migliore dei casi affogato nei distinguo e nelle precisazioni equidistanti. In una nazione sommersa dal fiume della retorica e delle parole a vuoto, l'impegno per un apparato statale finalmente libero dal gravame ecclesiastico suona evidentemente come un'insopportabile incognita, da arginare con qualsiasi mezzo e qualsiasi strategia; quella più antica e italiana è guardacaso anche la più economica: mettere a tacere, segnare tra parentesi, tutt'al più far passare ogni iniziativa fastidiosa come una baracconata, il numero da circo che non si nega più a nessuno. Una Emma Bonino presidente di regione sarebbe uno scandalo, non tanto per quello che dice, ma per la probabile coerenza con cui condurrebbe in porto il suo programma. E questo, in una società ipocritamente cattolica e autenticamente puttaniera come la nostra, sarebbe inaccettabile. Questa strategia del silenzio rivela chiaramente quale sia il nostro livello democratico attuale (bassissimo) e quale sia ancora la forza clericale all'interno delle nostre istituzioni (altissima), in una miscela di opportunismo, menefreghismo, retorica del fare che di fatto soffoca l'altro, il diverso, il portatore di un'idea che non si conforma all'andazzo. La Bonino ha ragione quando dice che si tratta di un problema di legalità, ma in un sistema che delibera a colpi di maggioranza quanto si allarga lo iato tra legalità e giustizia?
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