investimenti

Ascoltando le dichiarazioni degli inquirenti in merito alle vicende di corruzione e giochi di potere che stanno venendo a galla in queste ore, mi ha colpito in particolare un aspetto della vicenda, detto a chiare lettere dal magistrato: "Gli ambiti coinvolti spaziano da quello economico a quello politico a quello affaristico." A quanto pare, e ancora una volta, il comparto culturale non c'entra nulla con il declino nazionale. Considerazione al limite del banale la mia, ma forse non poi così tanto: anziché riporre fiducia nelle uniche cose che potrebbero salvarci (come la ricerca scientifica e lo sviluppo culturale), l'Italia preferisce affidarsi ancora a quelle materie, o per meglio dire alla loro degenerazione, che l'hanno condotta sul lastrico: finanza allegra, politica dei fatti propri, giurisprudenza delle scappatoie. Ancora lo stesso gioco delle tre carte che nelle nostre contrade non passa mai di moda, ancora quel sordido viluppo di affari, politica, cialtroneria, senso di impunità che vive come un cancro a spese della società civile. Sembrerebbe logico tagliare e punire laddove la malattia si palesa, e invece no: si va a tagliare sulla parte sana, ossia sulla parte culturale e scientifica, che potenzialmente potrebbe diventare la prima industria del paese, trascinando in una parabola virtuosa un indotto ancora tutto da scoprire. Ma no, meglio rassegnarsi all'evasione fiscale più alta d'Europa, meglio chiudere un occhio sui traffici di soldi fatti dal nulla, sulle varie ganghe, accolite, baronie che dominano ampi strati di società senza temere o quasi alcuna conseguenza. E nonostante tutto ancora oggi l'unico investimento ritenuto valido è quello monetario e a breve termine, l'esatto contrario di ciò che potrebbe portare ad una crescita costante, coerente, fatta di valori culturali e di progressi che durano.

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