In una Parigi onirica e soffusa, uno scrittore americano, insoddisfatto della propria vita e alle prese con una fidanzata odiosa, si lascia avvolgere dall'atmosfera parigina, tanto da rimanere imbrigliato in una sorta di spirale temporale, a cavallo tra presente e passato.
E' proprio un bel film questo Midnight in Paris; una cavalcata surreale, garbata, ironica, alla ricerca dei propri miti, ma senza retorica. E' un Woody Allen in buona forma quello in trasferta francese, uno che non ha tempo né voglia di autocelebrarsi, che preferisce continuare una ricerca di stile e di forma, insomma: uno che predilige il lavoro alle rendite dei passati successi.
C'è molta grazia in ogni inquadratura, dagli scorci trafficati della capitale di oggi, alle atmosfere vellutate degli anni venti, in compagnia di Hemingway, Picasso, Fitzgerald e tutti gli altri allegri compari di quel mondo perduto; la colonna sonora funziona, trasmette quell'impalpabile velo di malinconia che alla fine permea tutta la storia, e con essa il carattere sempre meno americano del cinema di Allen. Un carattere che ha scelto la strada dell'intelligenza. Al diavolo il buon senso, al diavolo l'ultradestra borghese, qui stiamo parlando di arte, di significato dell'esistenza, e se prendere atto di sé significa voltare le spalle alla vita comoda e garantita ben venga; se dire di no significa salvarsi dalla castrazione vuol dire che accetteremo anche qualche contrattempo.
Il registro di Allen gioca molto sulla chiave accettazione/negazione: vendersi al presente o asserragliarsi nel passato? Nessuna delle due. Non c'è altro tempo che questo, tanto vale dirlo senza reticenze, ma possiamo provare ad essere noi stessi comunque.
E' un film d'artista più ancora che d'autore. Di certo un film che solamente un regista affermato come Allen avrebbe potuto realizzare: immaginiamoci per un momento un cineasta alle prime esperienze alle prese con un soggetto così personale e fuori mercato. Ma va bene lo stesso. E pazienza se i molti riferimenti sfuggiranno ai più.
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