Nel cinquantenario della scomparsa, vicescrittori e critici d'agosto si divertono a tirare al piccione contro Ernest Hemingway. Gli concedono poco: un paio di buoni romanzi, qualche aneddoto e così sia. Negli articoli che ho letto in questi giorni stanno cercando un po' tutti di denigrarlo. "Non era poi così grande, era un cacciapalle, non ha inventato niente, era un vecchio ubriacone paranoico". E' una gara a ridimensionarlo, come dire che ci sia qualcuno, tra i critici di oggi, che abbia i mezzi per poterlo fare. Io non mi stupisco più di tanto. O per meglio dire, non ho voglia di farlo. D'altra parte sono stati e sono innumerevoli i parassiti che si sono aggrappati alla carcassa di Hemingway: una pletora di gente senz'arte né parte che ha provato a vivere di rendita sulle sue spalle. Critici, mogli, amanti vere e presunte, falsi amici, scrittori della domenica: un esercito di comprimari che ha salassato il mito, in parte inventandolo di sana pianta, in parte spremendolo come un limone. E in questo gioco al massacro l'unica vera, grande vittima è stata proprio lui, Ernest. Non è nemmeno una vergogna, è semplicemente una cosa losca, di infimo cabotaggio, una bega tra invidiosi rinfocolata dai pennaioli parcheggiati nelle redazioni dei giornali e da un pubblico - soprattutto letterario in questo caso - che non si stanca mai dei finti scandali. D'altra parte, questa tecnica è stata usata, con le dovute differenze, anche con Alberto Moravia. Ma forse possiamo provare ad allargare il concetto, affermando con una certa sicurezza che tutti i grandi artisti hanno subito un trattamento simile, in una sorta di accanimento post mortem che lascia sconcertati, e atterriti. Si può anzi individuare nella gogna postuma, nello scandaglio impietoso e ipocrita, un qualche titolo di merito. Se un mediocre è archiviabile come mediocre sub specie aeternitatis, un grande è continuamente oggetto di critica e revisione. Quello di Hem è un destino. Ingrato, forse, ma di certo in linea con il personaggio. Scoccia, ma niente di più, vederlo messo sotto processo da giudici tanto piccoli, ma anche questo rientra nella materia scomoda e un po' sconcia di cui sopra. Sarebbe più semplice dire che è stato un grande scrittore - uno dei più grandi di sempre - e che vivere secondo un concetto di sé non è una colpa, ma un tentativo, uno dei tanti che noi tutti intraprendiamo, uno dei pochi che talvolta vengano concessi, di esistere con coerenza. A dirlo si passa quasi per complici. Ben venga.
0 commenti:
Posta un commento