Meno male che le Olimpiadi non si faranno in Italia; meno male che non ci saranno altri sperperi di denaro pubblico; meno male che ci verrà risparmiata la manfrina del "marchio Italia da esportare". Meno male che gli appelli dei calciatori miliardari cadranno nel vuoto, e meno male che le ambizioni dei nostri disastrosi vertici sportivi verranno frustrate. L'Italia che ha pasticciato con i Mondiali di nuoto, che ha dietro di sé i buchi di bilancio delle Olimpiadi invernali di Torino, che ha ancora sparse per il territorio le angosciose cattedrali nel deserto di Italia 90 e che versa, infine, in una crisi economica senza precedenti, non poteva sobbarcarsi anche l'onere di un'Olimpiade. Non quando non si è capaci di costruire una rete di infrastrutture decente, quando un chilometro di autostrada ci costa quattro volte rispetto agli altri paesi europei. Non quando, soprattutto, lo sport è considerato meno di zero. Lo sport, non le Olimpiadi intese come carrozzone pubblicitario e formidabile torta per gli intrallazzoni. Vadano a finanziare la formazione fisica sportiva dei giovani questi soldi, vadano nelle palestre della federazione che faticano a far quadrare i conti, vadano agli sport così detti minori, quelli che non muovono interessi miliardari e che sono a costante rischio estinzione. Perché in un paese in overdose da calcio paccottiglia è perlomeno un'ipocrisia parlare di grandi eventi sportivi. Ed è davvero inquietante doversi sorbire oggi l'indignazione a gettone di una certa compagine politica, che è andata in barca per una nevicata. O forse siamo solo di fronte all'ennesimo, italianissimo, esercizio di presunzione a oltranza, di demagogia, di panem et circenses dato in pasto al popolo. Ma forse la gente, stavolta, ha cominciato a mangiare la foglia. P.s.: a proposito di grandi eventi, si sa più niente del mitico Expo?
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