Il fattore P (P2, P3, P4) sembra essere l'unica costante di questa stramba democrazia che siamo riusciti a mettere in piedi qui in Italia. Una democrazia di buona volontà, ma nel complesso ancora largamente incompiuta. In realtà, da quello che questi scandali insegnano, si capisce che l'unico, vero potere che aleggia nelle stanze dei bottoni sia quello dell'intrallazzo, della telefonata, dell'amicizia. Riempirsi la bocca di parole un po' fastidiose e ipocrite come "merito" e "responsabilità" non serve ad alleviare un vasto e diffuso clientelismo, eredità tra le peggiori della nostra storia politica, sinonimo inquietante di servilismo e parastato, burocrazia e compromesso. Ripetere le parole come slogan, farle diventare dei mantra, serve solo a sottolineare lo iato sempre più profondo che si è creato (o che c'è sempre stato, solo che ora è ancora più evidente) tra istituzione e società civile. Tra politica in senso lato e traffici di poltrone. L'aspetto tragicomico della questione si evince dalle parole dei diretti protagonisti: il mondo è questo, non bisogna essere ingenui. Una morale che è una via di mezzo tra una resa rassegnata al male del mondo e un invito ad accodarsi, pena il passare per fesso. Ed ecco qui che salta fuori l'italianità più vera e inestirpabile: la furbizia. L'amicizia nel salotto buono, la frequentazione giusta, il favore. Furbizia insomma, l'unico, vero, grande collante di tutte queste consorterie più o meno legali, più o meno dichiarate, più o meno utili alla causa; la furbizia che ti fa sorpassare il povero ingenuo in coda, che ti garantisce di più e meglio che non l'osservanza delle regole.
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