La storia dei vip impegnati in beneficenza non mi ha mai convinto troppo. Questi miliardari da sbarco che si fanno testimoni, ambasciatori, legati, promotori di nobili cause e tenere vicende mi sono sempre sembrati la parodia dei già brutti film a cui prendono normalmente parte. Angelina Jolie a Lampedusa era un cencio: anonima, opaca, incorporea e impalpabile, un ectoplasma caricato a supponenza catapultato in un mondo che non conosce e non sa, forte di un po' di paccottiglia pseudosimbolica (farsi prendere le impronte come un comune immigrato è un gesto tanto eclatante quanto inutile perché lei non è un'immigrata comune, è una ricchissima americana in trasferta esotica) e di divismo di risulta quanto basta per strappare il titolo sui giornali. A che servano queste rappresentazioni, onestamente, ancora non lo so. Ai vip in questione, ormai si sa, la pubblicità personale serve sempre. Tutti questi cantanti e attori che si fanno testimonial di benefiche cause come se stessero promuovendo in giro per il mondo una bevanda gassata o il loro ultimo pastrocchio cinematografico suonano irrimediabilmente improbabili, fuori contesto, alle prese con problemi di cui non hanno quasi nessuna cognizione e con concezioni quasi sempre parziali, terzomondiste, banalmente assistenzialiste. Accogliere questi personaggi come capi di stato fa forse parte di questa ridicola sceneggiata, ma che fastidio. Accoglierli come persone speciali, dotate di una qualche carica salvifica, di una qualche intelligenza è quasi comico. Mi sono ripassato il prestigioso cursus honorum di Angelina Jolie: fanno rumore titoli importanti come Tomb raider, Sky captain and the world of tomorrow, l'inqualificabile Fuori in sessanta secondi. Più una bella sezione Wiki dedicata ai suoi tatuaggi, qualche matrimonio e l'importante ascendenza paterna. L'unica richiesta che potrebbe essere fatta ad una star hollywoodiana sarebbe quella di fare qualche film decente di tanto in tanto: ecco, questa sì che sarebbe un'opera pia.
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