Nuovo post per Reader's Bench
La traversata di Milano, di Maurizio Cucchi
mercoledì 29 giugno 2011
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Ariberto Terragni
altri conservatori
martedì 28 giugno 2011
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Ariberto Terragni
Sì, forse sarebbe meglio che ognuno si facesse i fatti propri e guardasse nei recinti di casa sua, ma si sa, l'America è sempre l'America, ed è come se le sue dinamiche più esteriori riguardassero un po' tutto il globo. E forse in una certa misura è così. Per esempio ho appreso con una buona dose di rassegnazione l'ascesa dell'ennesimo astro ultraconservatore a stelle e strisce, questa Michele Bachmann che ha di recente lanciato il guanto di sfida per le presidenziali. Sulla scia di Sarah Palin, sulla scia del pioniere col forcone in mano. Non so come possano convivere, negli Usa, la grande tradizione democratica, quella che ha portato alla presidenza Barack Obama, e le falangi più retrive del repubblicanesimo. Probabilmente il fascino americano viene anche dalla collisione e dalla convivenza di questi emisferi politici e culturali antitetici, distanti anni luce, figli di concezioni che poco o nulla hanno in comune. Non sono abbastanza esperto di America per capire da quali dinamiche sgorghino certi esemplari politici: il sospetto che provengano in linea diretta dagli scompartimenti più esaltati del Mayflower è forte, con il loro folklore, l'autoreferenzialità, la miopia culturale, il bricolage religioso, le credenze fai da te. Il tutto improntato, con ogni evidenza, al desiderio di estinguere il diverso, l'altro, ciò che non rientra nel proprio schema mentale. E poi ci sono uomini come Obama. Fallibili, come tutti gli uomini, ma uomini veri. Che ci provano, tutti i giorni, che nelle pastoie di una politica del ricamo e dell'ipocrisia (in America come in ogni parte dell'Occidente) cercano di far emergere dei contenuti. Includendo, non escludendo. C'è chi ha la verità in tasca, e con sprezzo del ridicolo si definisce creazionista, e c'è chi accetta tutte le visioni, e non ne nega il diritto a esistere. C'è chi ritiene che la sanità gratuita debba essere un diritto per tutti, e chi difende le assicurazioni private. Sono le idee che fanno gli uomini, e ognuno ha quelle che si merita. In questo sono perfettamente americano anch'io.
i furbi
giovedì 23 giugno 2011
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Ariberto Terragni
Il fattore P (P2, P3, P4) sembra essere l'unica costante di questa stramba democrazia che siamo riusciti a mettere in piedi qui in Italia. Una democrazia di buona volontà, ma nel complesso ancora largamente incompiuta. In realtà, da quello che questi scandali insegnano, si capisce che l'unico, vero potere che aleggia nelle stanze dei bottoni sia quello dell'intrallazzo, della telefonata, dell'amicizia. Riempirsi la bocca di parole un po' fastidiose e ipocrite come "merito" e "responsabilità" non serve ad alleviare un vasto e diffuso clientelismo, eredità tra le peggiori della nostra storia politica, sinonimo inquietante di servilismo e parastato, burocrazia e compromesso. Ripetere le parole come slogan, farle diventare dei mantra, serve solo a sottolineare lo iato sempre più profondo che si è creato (o che c'è sempre stato, solo che ora è ancora più evidente) tra istituzione e società civile. Tra politica in senso lato e traffici di poltrone. L'aspetto tragicomico della questione si evince dalle parole dei diretti protagonisti: il mondo è questo, non bisogna essere ingenui. Una morale che è una via di mezzo tra una resa rassegnata al male del mondo e un invito ad accodarsi, pena il passare per fesso. Ed ecco qui che salta fuori l'italianità più vera e inestirpabile: la furbizia. L'amicizia nel salotto buono, la frequentazione giusta, il favore. Furbizia insomma, l'unico, vero, grande collante di tutte queste consorterie più o meno legali, più o meno dichiarate, più o meno utili alla causa; la furbizia che ti fa sorpassare il povero ingenuo in coda, che ti garantisce di più e meglio che non l'osservanza delle regole.
généreuse et jolie
lunedì 20 giugno 2011
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Ariberto Terragni
La storia dei vip impegnati in beneficenza non mi ha mai convinto troppo. Questi miliardari da sbarco che si fanno testimoni, ambasciatori, legati, promotori di nobili cause e tenere vicende mi sono sempre sembrati la parodia dei già brutti film a cui prendono normalmente parte. Angelina Jolie a Lampedusa era un cencio: anonima, opaca, incorporea e impalpabile, un ectoplasma caricato a supponenza catapultato in un mondo che non conosce e non sa, forte di un po' di paccottiglia pseudosimbolica (farsi prendere le impronte come un comune immigrato è un gesto tanto eclatante quanto inutile perché lei non è un'immigrata comune, è una ricchissima americana in trasferta esotica) e di divismo di risulta quanto basta per strappare il titolo sui giornali. A che servano queste rappresentazioni, onestamente, ancora non lo so. Ai vip in questione, ormai si sa, la pubblicità personale serve sempre. Tutti questi cantanti e attori che si fanno testimonial di benefiche cause come se stessero promuovendo in giro per il mondo una bevanda gassata o il loro ultimo pastrocchio cinematografico suonano irrimediabilmente improbabili, fuori contesto, alle prese con problemi di cui non hanno quasi nessuna cognizione e con concezioni quasi sempre parziali, terzomondiste, banalmente assistenzialiste. Accogliere questi personaggi come capi di stato fa forse parte di questa ridicola sceneggiata, ma che fastidio. Accoglierli come persone speciali, dotate di una qualche carica salvifica, di una qualche intelligenza è quasi comico. Mi sono ripassato il prestigioso cursus honorum di Angelina Jolie: fanno rumore titoli importanti come Tomb raider, Sky captain and the world of tomorrow, l'inqualificabile Fuori in sessanta secondi. Più una bella sezione Wiki dedicata ai suoi tatuaggi, qualche matrimonio e l'importante ascendenza paterna. L'unica richiesta che potrebbe essere fatta ad una star hollywoodiana sarebbe quella di fare qualche film decente di tanto in tanto: ecco, questa sì che sarebbe un'opera pia.
per Ernest Hemingway
venerdì 17 giugno 2011
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Ariberto Terragni
Nuovo post per Reader's Bench, dedicato ad Ernest Hemingway, due note senza pretesa, per ragioni di spazio.
referendum, il giorno dopo
martedì 14 giugno 2011
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Ariberto Terragni
Cominciamo, perché no, dicendo che è stata una vittoria di opinione prima che un'affermazione politica: circa 25 milioni di italiani si sono presi la briga di andare alle urne per dire che la legge è uguale per tutti, che l'acqua è un bene di tutti e che il nucleare è meglio lasciarlo perdere. Il fatto che questa presa di posizione cozzi con la strada intrapresa dal governo fino a questo momento è un dato politico evidente e innegabile, ma oserei dire quasi secondario: il segnale che emerge prepotente è invece il ritorno delle persone alla politica. Politica diretta, volta a risolvere problematiche importanti, che hanno a che vedere con il futuro immediato della società e con le linee guida con cui vogliamo costruirlo questo futuro. Quella di ieri è stata una vittoria contro la rassegnazione, contro il lassismo. Contro l'egoismo. Se dovessi proprio rintracciare un'etichetta con cui contrassegnare il voto al referendum non potrei che definirlo progressista: è un voto che guarda al domani con la consapevolezza dell'oggi, un voto saggio, maturo, che non si è fatto incantare dalle chimere di regime né dalle promesse degli imbonitori. E' stata una scelta di popolo nella sua accezione migliore, una mobilitazione che è partita da lontano, a dispetto dei partiti i quali - tutti insieme ad eccezione di quelli promotori - avevano deriso l'iniziativa del referendum, salvo poi tentare in extremis di saltare sul carro. Ho una mia personale convinzione: la chiave di questo successo sono stati i giovani, i nuovi elettori, quelli che sono cresciuti sotto la cappa berlusconiana e che a poco a poco hanno preso consapevolezza di se stessi e della propria concezione di politica. Internet, altro grande protagonista di queste ore, è stato il mezzo, il luogo di incontro, insieme al porta a porta, al volantinaggio, ai raduni in piazza, alle discussioni porta a porta. Questa è stata la svolta: la passione, l'impegno, la gratuità. Crederci insomma. E a nulla è servito il vergognoso boicottaggio tentato dal grosso delle televisioni (con esiti in qualche caso imbarazzanti) e la spropositata campagna del silenzio operata dai classici mezzi di informazione, salvo sparute e il più delle volte tardive eccezioni. No, questa corrente di pensiero ha trovato altri canali attraverso i quali raggiungere il suo mare. Non si dica che è stato un trionfo dell'antipolitica: è vero semmai il contrario, è stato il successo della partecipazione, e con delle idee di fondo peraltro ben definite e coerenti. Era ora che le idee prevalessero sull'interesse privato.
speciale referendum
venerdì 10 giugno 2011
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Ariberto Terragni
Mi tolgo subito il pensiero: domenica andrò a votare e segnerò quattro bei sì. Sulla vertenza nucleare si sono già espressi in ventimila e non ho nulla da aggiungere alle stranote e sacrosante motivazioni di chi non ne vuole sapere delle centrali; idem per il legittimo impedimento, mostruosità giuridica fatta ad uso e consumo di uno solo. Per l'acqua la situazione è un po' diversa, mi sembra quasi che non se ne sia parlato molto, nonostante l'argomento scotti, e non poco. Si parla di privatizzazione, di che cosa? In pratica della distribuzione dell'acqua. La gente distratta ha generalmente una risposta pronta: privatizzare è un bene perché in questo modo si eliminano gli sprechi e i prezzi diminuiscono. Ma chi l'ha detto? Privatizzando qualcosa, intanto, te ne privi, non è più tua, è di qualcun altro. Chi privatizzerebbe i propri organi interni? Sì, te li tieni tu, ma intanto sono di un altro. Di un privato, che può farne ciò che vuole. I prezzi? Ma quando mai una qualche privatizzazione in Italia è servita a diminuire qualcosa? Di solito l'italiano medio procede da un'equazione molto semplice: pubblico = spreco, attingendo, per pura pigrizia, ad un luogo comune particolarmente frequentato, e dimenticando soprattutto che il "pubblico" siamo noi tutti, noi comunità, noi Stato. In Lombardia la rete idrica è pienamente efficiente, e gli sprechi, con 11 litri perduti ogni 100, è ai livelli della Germania, ciò significa che una buona gestione pubblica delle cose è possibile, conveniente, sicura. Sicura, perché è di tutti. E' quasi insopportabile l'individualismo che aleggia nei discorsi dei più, per il quale, secondo un ragionamento tipicamente italiano, la colpa è sempre di qualcun altro, e la soluzione, il miracolo, sta sempre e comunque nelle mani di un terzo, al quale demandare affinché provveda in vece nostra. Un ragionamento che è l'anticamera del disastro, specie se applicato ad un bene unico e insostituibile come l'acqua, che non per niente comincia ad essere chiamata, con la consueta cantilena giornalistica, "oro blu". Oro, perché c'è possibilità di speculazione, e un privato, da che mondo è mondo, crea business al fine di lucrare, mentre una buona gestione pubblica mira a rispettare il bilancio e ad offrire un servizio di qualità. Possiamo anche decidere di appaltare l'acqua ad un imprenditore, ma dove saremo tra vent'anni? Quali derive avrà assunto il fenomeno? Forse è ora di darsi una svegliata, di prendere coscienza che quel "pubblico", quel "popolo", quella "gente" siamo noi. Artefici del nostro destino, e va bene, ma artefici soprattutto di una nazione che non merita di essere svenduta.
itinerario
martedì 7 giugno 2011
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Ariberto Terragni
Nuovo articolo per Reader's Bench, dedicato ad un luogo particolare, Piazza dei Mercanti, a Milano.
web history channel
lunedì 6 giugno 2011
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Ariberto Terragni
E' un peccato che i segnali lanciati dalla società civile alle ultime elezioni cadranno nel vuoto e nelle pastoie della politica di palazzo, nelle logiche delle alleanze, negli opportunismi del cartelli; è un peccato perché stiamo assistendo ad un cambio di marcia che non ha precedenti nella politica italiana: l'analogico va in soffitta insieme al tubo catodico, e in campo scende un nuovo modo di comunicare, fatto di partecipazione diretta e di internet, di condivisione e di composizione. Un cambio di linguaggio insomma, un cambio di sostanza: è entrata in scena una nuova generazione di elettori, che non forma più la propria opinione in base ai telegiornali faziosi, alle emittenti di regime e ad una stampa che se non è addomesticata è troppo spesso in ritardo patologico sugli eventi. Quello che predica Beppe Grillo già da diversi anni insomma, con la gustosa variante che il popolo della rete ha in pratica cassato anche lui. E che piacere vedere il vecchio magnate dalla pelle di cuoio non capirci più niente di fronte ad un fenomeno che non è in grado né di capire né di padroneggiare; che soddisfazione vederlo in totale fuori sincro rispetto ad un tempo e ad un alfabeto che lo rivelano povero di idee e incapace di leggere la realtà, lui, ancora legato all'ammuffito format dei monologhi registrati, ai quiz, alle veline, alle foto di famiglia in favor di telecamera e a tutta quella paccottiglia con la quale pure è riuscito a comprare le platee per tanti anni. L'informazione non ha più limiti; la possibilità di far girare le proprie idee e di mettersi in contatto con quelle degli altri nemmeno. Basterebbe già questo a giustificare tutto il pattume che galleggia nel web. E ora la risposta soffia nel vento, direbbe Dylan: c'è una nuova tavolozza di colori con cui provare a dipingere una storia diversa, che non ha più niente a che vedere con le facce pietose e i metodi da rigattiere che hanno sotterrato il nostro senso civico. Bisognerà essere bravi e difendere questo estremo ridotto indipendente con le unghie e con i denti; bisognerà stare attenti ai guru e ai santoni, ai mascalzoni e ai venditori di felicità. Tenendo sempre a mente che il web è tutt'al più il detonatore di un potenziale sempre e comunque umano.
breve commento su Carmelo Bene scrittore
mercoledì 1 giugno 2011
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Ariberto Terragni
Nuovo articolo per Reader's Bench, dedicato ad un vero maestro, Carmelo Bene.