Come dire: i quadri dirigenti del
partito danno l'idea di non aver capito niente di quanto accaduto.
Delle conseguenze che il loro operato – lontano, in molti casi
apertamente contrario alla volontà della base – avrà sulla vita
politica e istituzionale di questo paese.
Il risultato claudicante delle elezioni
dopo una campagna elettorale troppo statica, il rimpiattino durato
due mesi, la decisione incomprensibile e per certi aspetti pazza di
riesumare Franco Marini come prima scelta per il Quirinale, il
lancio, a frittata fatta, di un Prodi subito impallinato da quella
stessa assemblea che poche ore prima lo aveva acclamato, sono solo i
sintomi di una malattia che sta più a monte, più in là nel tempo,
nei ridotti di una disputa interna e spesso personale che ha lasciato
fuori dalla porta il contatto con il paese reale.
La sinistra italiana ha scelto la sua
fine. L'ha scelta nel momento in cui ha pensato di potersi
accreditare come forza maggioritaria senza tenere conto della gente
che la votava. Ha cominciato a perdere quando ha rinunciato ai punti
di forza che storicamente sono della sinistra: tutela dello stato
sociale, diritti, lavoro, solidarietà, legalità. E ha continuato a
perdere, fino a questo schianto finale, dicendo no alla candidatura
di Stefano Rodotà, la ciambella di salvataggio lanciata da M5S che
avrebbe consentito di sbloccare la situazione politica in tre modi:
eleggendo un Presidente della Repubblica, lasciando aperta la
concreta possibilità di un governo insieme e mettendo all'angolo
l'uomo che è la plastica antitesi di ogni istanza legalitaria e
sociale, Silvio Berlusconi.
Il sospetto, che pesa come un macigno,
è che la strategia scombiccherata e suicida di questo partito sia
sempre stata quella dell'inciucio. Come se il passato non avesse
insegnato niente, e come se la stragrande maggioranza degli italiani
non considerasse il compromesso con Berluscònia il peggiore dei
mali. La morte, civile, politica e persino intellettuale della
gauche. Una sinistra che, da vent'anni a questa parte, non ha
fatto che vergognarsi di se stessa, perpetuandosi nell'orgia del
potere attraverso la sostanziale accettazione del berlusconismo non
solo come referente politico, ma, a seconda, come spalla,
contraltare, complice, sparring partner, nemico fittizio. E ora che i
cocci sono per terra, ci si ritrova con dei quadri dirigenti che a
caldo non sono nemmeno capaci di ammettere lo sbaraglio, provare un
po' di imbarazzo per la svendita della loro storia e della loro
cultura.
Va da sé che la rielezione di Giorgio
Napolitano, sulla cui persona non c'è nulla da eccepire, è una
sconfitta mascherata da pareggio, e il nostro Presidente, da uomo
saggio e navigato, è il primo a saperlo. Il rinnovo del mandato
presidenziale ad un uomo di 88 anni che non chiedeva altro che
ritirarsi certifica la liquefazione dei partiti come esponenti della
democrazia. Certifica l'impotenza, l'incapacità, la mancanza di
coraggio dei partiti di prendersi la responsabilità (e scusatemi se
uso questo termine tanto abusato) di una scelta decisiva. Hanno
scelto di non scegliere.
I paesaggi che si offrono ora sono
quantomai nebulosi, e perlopiù desolanti. Un governo del Presidente,
si dice: un governo cioè sotto la diretta influenza del Capo dello
Stato, al di là dei poteri che la Costituzione in questo momento
sancisce in modo ufficiale. Del resto, è un anno e mezzo che
Napolitano aveva allargato la propria sfera di competenze fino a
dirigere in modo sempre più evidente le mosse del governo. Preludio
ad una Repubblica presidenziale? Nessuno può dirlo. Stravolgere la
Costituzione sull'onda dei dissesti emotivi di questi tempi potrebbe
essere un rischio; primo perché le riforme non si fanno a furor di
popolo, secondo perché stavolta siamo stati fortunati ad avere tanto
potere concentrato nelle mani di una persona come Napolitano, ma
casomai la gente impazzisse (ogni tanto è provato dalla storia che
lo fa) e consegnasse le chiavi di casa in mano alla persona
sbagliata? Il controbilanciamento dei poteri ha un significato, come
abbiamo avuto modo di verificare durante la fatiscenza
dell'esperienza berlusconiana, già dimenticata dalla memoria
collettiva e dalle nostre proverbiali amnesie mediatiche (chissà
perché eh?).
Non sono mai stato tenero con il M5S,
ma stavolta va detto che una mossa in direzione della sinistra era
stata fatta. E la sensazione, purtroppo, è che il Pd abbia preso in
giro i suoi elettori, inscenando una trattativa fasulla con i 5
stelle mentre sull'altro tavolo negoziava con il Pdl la vera
spartizione del potere, in spregio a militanti ed elettori.
E' chiaro che con questa classe
dirigente, la sinistra italiana non andrà mai da nessuna parte. Lo
diceva Nanni Moretti nel lontano 2002, e con una punta di sarcasmo,
siamo costretti, oggi, a prendere atto che la nomenclatura
responsabile di questo disastro è sempre la stessa. Inamovibile.
Ed è su questa base che si consuma la
scissione tra il Pd parlamentare e la base elettorale: dopo la pagina
nera delle elezioni presidenziali l'attuale gruppo dirigente del
Partito Democratico ha di fatto stracciato il patto di fiducia con i
sostenitori del partito, mettendo in discussione, da un punto di
vista politico ma anche morale, la legittimità a gestire il potere
in nome dei cittadini. Un nodo cruciale, che in quanto tale verrà
presto derubricato a bagattella da supercazzola, l'unica, vera,
grande strategia che i quadri dirigenti hanno sempre saputo sfoderare
con maestria.
Ed è un crimine. Perché se non esistono più dei politici di sinistra, esiste un popolo di sinistra. Esiste il bisogno di un'etica pubblica che non sia solo la facciata ipocrita del papista che va a mignotte. Esiste la ricerca di una coesistenza civile con alcuni punti cardine, quali per esempio diritti, doveri, lavoro, legalità, vita, morte. Esiste una fetta di cittadinanza che avverte ancora il proprio paese come un bene, e non solo come una vacca da spolpare, dove “prima la mia famiglia, prima io e gli altri si fottano”. Beh, se la sinistra politica non si decide a dare una voce, un corpo e soprattutto un'azione a queste istanze, il paese fatalmente, inesorabilmente e forse anche giustamente andrà alla malora una volta per tutte.
Non resta che prendere atto di una
cosa, molto semplice: le due anime del Pd – post comunista e
democristiana – non hanno mai trovato una sintesi, se non nel
brodino tiepido che non ha mai avuto il coraggio di fare azioni
concrete contro il conflitto di interessi e contro lo smantellamento
dello stato sociale.
Dopo gli ultimi giorni tutte le
stranezze, le debolezze, le opacità del Pd hanno trovato una
risposta. Quella che in molti sospettavano. Quella che fa male anche
solo pensare.
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