E' il bello di questo paese, in fondo, il fatto che tutto è sempre uguale, anche nelle crisi più nere: rimane sempre una patina di risaputo, di già detto. E' come se il film di questa crisi lo percepissimo già a livello inconscio, come se questa storiella l'avessimo già sentita, ma chissà dove, chissà come. Intanto il dibattito è assorbito dal dilemma della presidenza della Repubblica, per il resto si vedrà. I tecnici non ne hanno azzeccata mezza, i politici sono ancora lì, il nuovo che avanza più che avanzare traccheggia alla ricerca di una dimensione o forse di un senso che tarda a materializzarsi, vuoi perché il risultato elettorale è stato fin troppo largo vuoi perché il programma cinquestellato, una volta entrato nelle secche della realtà, si è arenato, come tutto il resto. E mi viene voglia di ricordare il compianto Edmondo Berselli, quando citava Arbasino ed esibiva la sacra teoria del "solito stronzo", una grande promessa tradita, che una volta finita la gioventù diventa come tutti gli altri, come tutto il resto, appunto. Ma in questa metafora c'è anche qualcosa di più: la tendenza italiana a non cambiare mai. A non voler cambiare. A rimanere prigionieri di un eterno presente senza memoria e senza futuro, le due categorie scomode per eccellenza (sono le più faticose) che la febbre berlusconiana degli ultimi trent'anni (conto anche il grande sabba televisivo) ha provveduto a cancellare, donando ai teleutenti elettori il frutto avvelenato di un qui e ora che non finisce mai. Quindi il mondo fuori bussa. Falliscono un migliaio di aziende al giorno. Decine di migliaia di licenziati, al giorno. Eppure la bolla che preserva il grosso della società italiana resiste, anche ora che il viatico usuale delle grandi manovre italiane - l'Emergenza - è assurto allo stato permanente effettivo. Era emergenza prima o è emergenza adesso? Che faremo? A mo' di mistero teologico la politica italiana si pone come interrogativo senza risposta, come grande totem muto, un orologio rotto e senza lancette che ha rinunciato a segnare l'ora.
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