Non starò qui a polemizzare con Baricco, perché Baricco non mi si fila, perché è di moda e perché lo fanno tutti, ma diciamo che il caro scrittore se la va un po' a cercare. Sarà per quella sua idea di letteratura bricolage, sarà per quella naturale mancanza di modestia mascherata da talento, sarà per la straordinaria abilità a vendere fumo, non so. Fatto sta che ogni iniziativa sulla quale appone il cappello odora subito di marketing, e la cosa potrebbe anche essere perdonabile se non stessimo parlando di letteratura e lui non si proponesse come uno scrittore con qualche ambizione. Ma l'epoca che viviamo è rappresentata anche dagli intellettuali che si ritrova, e se un tempo c'erano Gadda, Moravia, Flaiano, Landolfi, Pasolini, Calvino e vai col tango, oggi ci ritroviamo uno che ha usurpato il nome di Holden Caufield per farci una scuola di scrittura creativa, una specie di assurdo logico che solo in America potevano partorire (una certa America: Hemingway, Dos Passos, Faulkner e lo stesso Salinger non ne hanno frequentate di queste robe). Ma Baricco non lo fa in malafede, lo fa perché evidentemente è più forte di lui. Si improvvisa regista, divulgatore alla tv, maître à penser del veltronismo, si inventa una rubrica dal pretenzioso titolo Una certa idea di mondo e scrive libri discutibili, con la caratteristica di essere sempre più inconsistenti. Ma questa è scrittura 2.0, intellettualismo del post post moderno, depensamento, autore volutamente esautorato che viaggia col catalogo in mano, che si confronta col mercato, evviva. Ecco perché Baricco è interessante: perché è l'esatto specchio del momento che viviamo. Poi ognuno è libero di fare come crede, ma sarebbe bello che la ribalta fosse concessa anche ad altri, magari meno telegenici, con idee meno vaghe e magari meno politicamente corrette, ma forse sta proprio qui il disagio: meglio un bel brand che una polemica di Sciascia, così dormiamo tutti più tranquilli e non ci facciamo strane idee, certi, certissimi di vivere nel migliore dei mondi possibili.
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