I media ragionano tutti all'unisono, non sono capaci di differenziare la loro proposta, né tantomeno di proporre delle chiavi di lettura originali: tutti insieme, in occasione della festa della donna, hanno recitato lo stesso identico mantra: donne e potere. Hanno citato tutti gli stessi esempi (ministre, manager, capitane d'industria) e hanno lanciato l'equazione: realizzazione di sé = posto di potere. Che è un assurdo. O che per meglio dire non è detto sia la realtà. In pratica stampa, televisione e linguaggio comune non vedono altro modo per le donne, e in senso lato per tutti, di emanciparsi e realizzarsi che non sia l'occupare una posizione di potere. Non sospettano nemmeno che la soddisfazione e la completezza passino attraverso un percorso anche e soprattutto interiore, intellettuale, affettivo. No, per niente. Solo il potere e il denaro possono essere motivo di gratificazione. Avanzano statistiche e cifre in cui l'unico modello che emerge è quello della donna ricca e al comando di qualche cosa. Sennò niente, tutte casalinghe frustrate o professoresse sottopagate. Donne libere e soddisfatte in altro campo e in altro modo non sono contemplate, sono sparite, inghiottite da una narrazione della realtà che non le vuole, e che preferisce raccontarci un presente meno complicato, meno differenziato, dove i parametri sono calcolabili, perché quantitativi. Giornali, televisioni, siti internet: la falange è stata compatta nel dipingere lo stesso scenario, senza la minima variazione. Ma il giocattolo si rompe, e mostra i fili: un conformismo esasperato, un'avidità senza confini che sono la vera e più indiscutibile chiave di lettura attraverso cui leggere questo presente. Ingordo, bulimico anche nel rappresentarsi, spoglio di parole, povero di contenuti. Una narrazione fasulla e materialista che le donne, specie se vivono soldi e potere con il giusto grado di diffidenza, non si meritano.
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