Si scriveva qualche tempo fa delle formulette iterative, così frequenti nel linguaggio comune di politici e giornalisti ("tornare a crescere, ritornare ai tempi in cui, ricominciare a correre, ritrovare, recuperare..."). Un altro tic che penso sia altrettanto in malafede riguarda l'esaltazione delle patrie glorie, ovverosia persone illustri e istituzioni. Siamo sicuri che tutta questa pletora di vecchi arnesi e consunti drappi sia davvero qualcosa di cui bearsi e vantarsi? A potersi permettere un'adeguata difesa legale, sarebbe divertente fare nomi e cognomi: non potendo si può invitare ad andare a spulciare su wikipedia qualche biografia eccellente: presidenti, alti funzionari, grand commis. L'esercizio potrebbe rivelarsi più salutare del previsto: tolta la retorica che ci ammorba, scopriremmo pochezze umane e sottoumane veramente notevoli. Sua eccellenza militesente che si vede conferire gradi (ancorché onorifici) da ufficiale, un vetusto signor nessuno che ha più stelle di latta che capelli, un altro che colleziona titoli ad honorem, un burocrate venerando che si scopre non ha mai ottenuto una nomina per concorso. Ma non solo: c'è l'insigne economista laureato in lettere, quello che è diventato magistrato a 21 anni, quello che ha avuto una cattedra universitaria a 23, e via discorrendo. Un poco alla volta viene a galla un panorama minuto, di piccola gente alle prese con vanità personali, amicizie, favori. Il fatto che personalmente mi ha colpito è che quasi tutti questi campioni patrii, stringi stringi, nella loro vita non hanno fatto che occupare sistematicamente il potere. Si sono nutriti di potere, lo hanno preteso, lo hanno usato. Monumenti viventi, istituzioni appunto. Tra un osanna e l'altro mai nessuno che ricordi la situazione in cui viviamo, che per buona parte è dovuta ai mali mai risolti di ieri, quando il debito pubblico dilagava e i soldi di tutti finivano nei buchi neri del malaffare. Quando in sella c'erano le venerabili vecchie glorie appunto.
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