Non partirei dal brillante laureato che ha sfondato in qualche università inglese o americana (capisco l'America, ma la Gran Bretagna è un ex impero che traccheggia quanto o peggio di noi); non parlerei del coraggioso imprenditore del nord est; non metterei in sequenza i primi piani di un impiegato, di un fuochista ottuagenario, di una in impermeabile giallo sulla metropolitana, di un travet in coda sulla tangenziale dicendo che sono guerrieri (al massimo schiavi come me e come tutti, ma chiamiamo le cose con il loro nome). Non girerei nemmeno un corto dove il solido padre di famiglia fa gli straordinari per godersi la laurea del pargolo, perché mi fa venire in mente Flaiano quando diceva che il vero ignorante è quello che si consola pensando che tanto studierà il figlio.
Non lo farò perché non ho mezzi di alcun genere per farlo, ma se fosse possibile raccontare l'Italia di oggi, se fosse possibile farlo senza retorica, senza auto elogi o auto denigrazioni, partirei dagli uomini che sono rimasti impigliati tra le reti. I falliti, i vinti, gli sconfitti. Non gli invisibili della retorica populista Mediaset, ma la schiera interminabile dei Mario Rossi in bancarotta esistenziale. Gente che non ce l'ha fatta, che si è arresa. Gente che ha perso e non si è rialzata. Gente sopravvissuta a se stessa. Gente che non ha smesso quando ha voluto. Gente che è andata a sbrendolo insieme a un paese intero, a una cultura intera. Non so se il paragone con i vinti di Verga sia adatto, ciascuno giudichi come vuole.
Forse il paragone più giusto è un altro: il ragionier Fantozzi. Specie in quella sua frase drammatica e vera insieme:
« ...Io, Pina, ho una caratteristica: loro non lo sanno, ma io sono indistruttibile, e sai perché? Perché sono il più grande "perditore" di tutti i tempi. Ho perso sempre tutto: due guerre mondiali, un impero coloniale, otto - dico otto! - campionati mondiali di calcio consecutivi, capacità d'acquisto della lira, fiducia in chi mi governa... e la testa, per un mostro e per una donna come te. »
Veramente, non crediamo alla retorica del guerriero, perché se continuiamo a raccontarci di mitici recuperi e di grandi rimonte, se continuiamo cioè ad appoggiarci ad una simbologia calvinista che non è nostra, non andremo da nessuna parte. E' il ragioner Ugo il nostro referente. Quello con la targhetta Fantozzi rag. Ugo, anche se oggi il ragioniere è stato sostituito da una triennale in marketing. Il racconto non potrebbe che partire da Ugo, non dai guerrieri sulla tangenziale di qualche squallida pubblicità. Non dalla volgare felicità americaneggiante che con noi c'entra meno di niente. Se c'è un dato comune tra Classicità e Cristianesimo sta proprio nella sostanziale inesistenza del termine felicità, perché non è quella la partita.
La partita è lì, nel momento della perdita. Gli uomini impigliati tra le reti. Quelli che perdono, di cui nessuno si occupa. Quelli che non hanno grande talento, che non hanno grandi idee, che non erano brillanti a scuola. Che non vogliono fare in cantanti, che non sono ricercatori in fuga all'estero, che non saprebbero nemmeno come fare per andarsene da questo paese. Che hanno smesso da un pezzo di credere alla paccottiglia dei sogni nel cassetto e a tutto questo ciarpame televisivo che ha inquinato le menti più insospettabili. Gli uomini impigliati nelle reti come l'ossatura della società, che se non recuperiamo in qualche modo, magari anche solo certificandone l'esistenza e la dignità, si sgretolerà come terracotta. Perso il senso di comunità, e quindi di società non restano che tanti esseri impauriti che si raccontano di essere guerrieri. Ma non è così, e questo spavento senza fine si annida come un tarlo nei retropensieri di quasi tutti gli esseri pensanti. Fu la tanto magnificata Margaret Thatcher a rivelare al mondo intero che per la politica conservatrice (che domina il mondo da decenni) "Una cosa come la società non esiste". Quindi la retorica del guerriero, la fraseologia bellica, lo slogan aziendale, hanno una precisa origine: il conservatorismo politico.
Scrive Zygmunt Bauman: "I politici di ogni colore dicono chiaro e tondo che, data la forte richiesta di competitività, efficienza e flessibilità, non possiamo più permetterci reti di sicurezza collettive".
Lo sfracello collettivo non è stato causato dagli uomini feriti, ma dai combattenti da pic nic, e da tutta la schiera di uomini senza mente che hanno pensato bene di credere alla pubblicità.
Quindi Fantozzi. Per capire, per capirci. Fantozzi con i suoi "Servili auguri per un distinto Natale e uno spettabile anno nuovo", Fantozzi con l'elegante visiera verde con la scritta Casinò Municipale di Saint Vincent.
Ecco, se mai dovessi girare questo documentario partirei proprio da chi ha rischiato e ha perso tutto. Da chi non ha rischiato e ha perso comunque. Ma senza finali rocamboleschi: la gente di solito perde in silenzio, qualche volta nemmeno se ne accorge, perché non è un tiro a freccette. Perdi, e non lo sai, o se lo sai non sai il perché. Sei al palo, e basta. Non puoi appellarti a nulla, nemmeno al fatto che in questo paese non c'è meritocrazia, perché tu non meriti niente. Sei caduto e non ti sei rialzato. La fortuna non ti ha aiutato perché non sei stato audace.
Ma senza il ricircolo di tutte le forze, anche di quelle a perdere che ripeto sono la maggioranza, non ci sarà possibilità di dignità. Non parliamo più di ricchezza o di benessere, parliamo di dignità. Non parliamo nemmeno di solidarietà, che è solo carità e coscienza sedata, parliamo di comunità. Parliamone prima che sia troppo tardi.
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