Gli innamoramenti giornalistici sono un fenomeno paraletterario di primo livello. Quando la stampa italiana, ma non solo, decide di amare un personaggio, una moda, un fenomeno, è in grado di mobilitare un contingente di forze che non ha uguali nel panorama mediatico (e non solo). Ora è toccato al Papa, assurto, nel giro di cinque giorni, ad icona pop della bontà un tanto al chilo. Con tanto di stillicidio verbale, tipico della categoria: bontà, semplicità, povertà, parappappà. Costruire il nemico, diceva Eco, ma in qualche caso bisogna anche costruire l'amico: il mito, il depositario delle speranze. Ora, non è detto che un Papa debba essere per forza algido e distaccato, e non è nemmeno detto, come qualche dotto curiale ha sostenuto, che il papato sia importante in quanto tale a prescindere dai comportamenti soggettivi, ma da qui a far dire al Papa, e a qualsiasi altra figura pubblica di livello mondiale, quello che ameremmo sentirci dire, ce ne passa. O ce ne passerebbe, visto che l'opera di costruzione mediatica operata dalla stampa in questi giorni ha qualcosa di sbalorditivo e megalomane. Prima o poi Francesco dirà o farà qualcosa che andrà in controtendenza rispetto alle mode ideologiche dettate dal gossip à la page, e allora che succederà? D'altra parte è un Papa cattolico, è depositario dell'ortodossia della fede, non ci si può aspettare che soddisfi le brame libertarie del bel mondo, così, giusto per non deludere le aspettative personalistiche di questo o quel vip. Il cercare ad ogni colpo di tosse svolte epocali e momenti storici denuncia in modo prepotente l'ambivalenza etica di tanto giornalismo, che il giorno prima di muove compatto o quasi verso mete libertarie e anticlericali, e il giorno dopo - così, giusto perché l'attuale Papa riesce interessante in tv e dice in buona fede cose che fanno gioco alla malafede di certi commentatori - diventa alfiere dei valori cristiani con qualche punta di conservatorismo spinto. E in questo flusso di considerazioni senza senso, di sondaggi, di opinioni qualunque, la parola si diluisce, perde di consistenza, e diventa rumore senza alcuna restituzione simbolica: la parola come residuo, detrito di un processo di significazione montato sul nulla di una campagna mediatica priva di riscontri. C'è un Papa che non è ancora entrato nel vivo del suo lavoro, e c'è il suo eidola montato dalla fantasia paraletteraria del giornalismo di massa: due facce che non sono complementari, ma contrapposte, come la realtà e la sua rappresentazione autoprodotta.
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