Dal punto di vista iconografico, la massa di deputati Pdl assiepata sulla scalinata del Palazzo di Giustizia rappresenta uno dei minimi storici repubblicani; un equivoco in termini dialettici e pratici. Gli onorevoli appena eletti si presentano al capezzale simbolico del padrone, quel Palazzo dove l'eminenza consuma il suo ultimo lembo di esperienza reale, quella che lo fa essere ancora un essere umano e un cittadino, in contrapposizione alla fantasia sfrenata e sadiana in cui la sua figura ormai è prigioniera da tempo. Non si capisce bene per che cosa o per chi manifestino questi signori con bandiera italiana e inno bestemmiato in un canto che dire incongruo è dire poco. La sensazione è che non lo sappiano nemmeno loro. Potremmo chiamarla manifestazione per il collirio, sit in per la difesa della berlusconità, mobilitazione in difesa del diritto di marcare visita, lotta per la congiuntiva. Ci sarebbe da ridere se non fosse che da ridere non c'è più niente, e l'agitare lo spettro della libertà e del diritto, proprio da parte di quella falange politica che ha sempre infangato e disprezzato il diritto e la libertà degli altri, è solo il solito, squallido espediente, per difendere i privilegi di uno evocando la sicurezza di tutti. Ma questa destra berluscoide è al massimo in grado di difendere i relitti di se stessa immolandosi per la salvezza del suo declinante padrone politico. Lo strumento, è questa parodia di manifestazione, dove per un gioco strambo e vizioso, non è il popolo a manifestare per il popolo, ma un privilegiato manipolo di miracolati per la bella faccia di uno solo, il padre padrone padrino di un movimento che, checché ne dicano, di storico e democratico ha pochissimo. Ma il Pdl ha sempre avuto dalla sua una dote, grandissima: quella di usare come espediente retorico la tautologia ad un alto grado di sofisticazione. Pervertire la realtà, ribaltare i concetti, trasformare le accuse in controaccuse, ripetere la finzione in modo massivo e continuato in modo da renderla vera presso una parte dell'opinione pubblica, abituare la gente allo scandalo e al peggio in modo tale da anestetizzarla, anche per mezzo di una potenza di fuoco mediatica senza precedenti nell'Occidente democratico, sono stati i grimaldelli e le armi di scasso con cui questa stramba forma di potere si è conservata nel corso del tempo. Certo, ora il sistema mostra la corda, ma è ancora capace di irretire un buon trenta percento di elettorato, vittima o complice o entrambe le cose di questa tragica epopea chiamata berlusconismo. Ma la tautologia di fondo rimane: tutta la retorica di questo partito, dai suoi albori ad oggi, si è sempre basata sulla reiterazione del vuoto, e un partito che in tutti questi anni non ha mai fatto altro che produrre se stesso come generatore di consenso e basta, alla fine non può che ridursi a messinscene come quelle del Palazzo di Giustizia. Perché il partito salva se stesso non grazie ad un'idea, ma grazie al corpo del capo, che è l'elemento indispensabile per la propria sopravvivenza, sia politica che economica. E perché soprattutto generare consenso non significa generare anche senso. Nel mascheramento di questa assenza i vari portavoce, megafoni, pupazzi che si sono succeduti nel corso degli anni sono stati dei maestri: un profluvio di artifici simbolici e verbali che sono serviti da vera e propria cortina fumogena per occultare la mancanza strutturale di un progetto collettivo.
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