Qualcuno dovrà scriverlo prima o poi
un romanzo radicale. Non mi candido a farlo. Ma di materiale ce ne
sarebbe a iosa, con tutti gli ingredienti necessari. Le
contraddizioni e le passioni che renderebbero superfluo qualsiasi
surplus romanzesco. I radicali bastano a sé, nel bene e nel male.
Una parabola repubblicana sincera, un unicum nella storia di questo
paese che però è anche italiano come pochi altri: storia di
coraggio e anticonformismo unita a tradimenti e opportunismi,
pretoriani libertari fedeli fino alla fine e voltagabbana trasbordati
direttamente dai referenda su divorzio e aborto alle sottane dei
preti.
C'è spazio per tutto nella cronaca
esistenziale di un partito che prima di tutto è stato un'idea: di
laicità, di libertà, di ideali. Non a caso, un partito nato dal
sentimento di intellettuali di razza, come Ernesto Rossi e Mario
Pannunzio, che dello sdegno seppero fare un progetto politico basato
solo e soltanto su questioni di principio. Forse per questo il
Partito Radicale è sempre stato un partito povero, uno dei pochi a
non praticare il gioco delle tre carte e a sopravvivere grazie ai
bilanci ritoccati con il bianchetto. E forse per questo è sempre
stato un partito ammirato, qualche volta invidiato, ma mai un partito
veramente votato. Perché radicale, appunto. Poco incline ai
compromessi, anche se di compromessi viventi, allignati tra le sue
fila, nel corso del tempo ce ne sono stati parecchi: alfieri della
laicità dello Stato e della liberalizzazione delle droghe che poi si
sono riversati in massa nei peggiori luoghi comuni del conformismo
ecclesiastico o nella malia berlusconiana, di fatto il segno
antitetico rispetto all'integrità radicale.
Ma di segni, in questo movimento,
partito, manifesto perenne, ce ne sono stati tanti. La mobilitazione
sul tema dei diritti civili, sulla legge 194, sul divorzio, sul tema
del sovraffollamento delle carceri (questione della quale tutti gli
altri partiti se ne sono allegramente fregati) è stata grande e
impavida, specie in un paese spesso ipocrita e bigotto come il
nostro; per contro, il Partito Radicale non ha mai saputo togliersi
di dosso una certa inconcludenza politica, un'incapacità strutturale
a capitalizzare in termini elettorali e di governo il sudore versato.
E' un grande limite, perché l'utopia a oltranza è qualcosa di più
di un simpatico difetto. Poteva avere un seguito in altre epoche, ma
in anni cinici come i nostri difficilmente può portare a qualcosa.
E così, l'ennesimo strappo. Pannella
che si apparente con l'estrema destra della Destra. Una mossa della
disperazione, un arrocco che forse qualcuno, magari Pannella stesso
in un momento di maggiore lucidità, definirà una provocazione, ma
che per il momento segna una tappa in triste coerenza con la pulsione
autolesionista che in fondo sta alla base del partito.
Siamo di fronte alla fatiscenza, senza
dubbio, ma in una modalità forse meno folle di quanto si pensi. La
pratica del gioco al massacro fa parte della vis pannelliana del
partito: le nudità esposte, gli scioperi della fame a vanvera, la
vecchiaia esposta senza ritegno sono tutte armi dialettiche di un
certo modo alla Pannella di intendere la missione del partito.
Coerenti a livello di logica interna, incomprensibili sul piano del
sentimento popolare. E questa tensione tra forze opposte – il
rigore intellettuale e le piazzate – che è stata per tanto tempo
il motore del partito, ora che la legna da ardere è finita rischia
solo di disperdere tutto ciò che i radicali hanno rappresentato nel
corso del tempo, più forti di figliastri traditori e congiure di
palazzo.
Se il movimento riuscirà a
ricompattarsi su un nucleo di pensiero traducibile sul piano
politico, allora avrà ancora senso di esistere. Altrimenti questo
strappo (leggo che Emma Bonino giustamente non ci sta ad apparentarsi
con l'estrema destra) rischia di essere il colpo di grazia, e una
fine che per quanto negativamente suggestiva non fa che conferire un
alone di ambiguità ideologica ad una storia che nel corso di tante
legislature si era sempre mantenuta dura e pura.
Dal punto di vista narrativo, un colpo
di teatro conclusivo più che degno, dal punto di vista politico e
storico una contraddizione che probabilmente supera di gran lunga i
confini della provocazione. Bisogna vedere, in altri termini, se la
pannellizzazione del partito divorerà quel che resta dell'eredità
radicale, o se invece ci saranno dirigenti con altrettanta
personalità e chiarezza di idee che sapranno impedire a Crono di
divorare i suoi figli.
0 commenti:
Posta un commento