Girando per la provincia, che qualcuno non a torto ha definito "la vera capitale morale d'Italia", anche il più sprovveduto dei passanti capisce come gli italiani, in realtà, non abbiano tanto problemi con l'inglese, quanto con l'italiano, nel senso che la lingua di Dante, quella con cui i professori si baloccano e che le istituzioni sviliscono, è un retaggio formale. La lingua viva è un'altra: è il dialetto italianizzato, sporcato da qualche incursione esterofila, agitato come il vessillo della propria vera identità. E con il dialetto in bocca alle madri e ai bambini - succhiato con il latte, irrorato dal sangue - si capisce la vera dimensione italiana, che non è quella della Roma statalizzata o della Milano bene, ma che è quella dell'utero locale e dello strapaese. La cultura ufficiale, quella delle scuole di massa e del centralismo, non ha in fondo nemmeno scalfito il tratto fondamentale del DNA italiano, che su un altro versante, in sintonia quasi perfetta con la profezia pasoliniana, ha ceduto il passo solo all'omologazione commerciale, ai prodotti della grande industria, che ci ha messo d'ufficio le stesse scarpe e le stesse magliette, ma che nulla ha potuto con alcuni meccanismi intimi dell'italianità, quali per esempio il familismo, l'accento pesante usato come una clava contro il forestiero o la suddivisione in clan. Ad una omologazione dei comportamenti (i vestiti, gli aperitivi, le auto, le vacanze, i tatuaggi e via dicendo...), della cultura (la scuola come spacciatrice di sapere standardizzato), e della lingua franca (l'italiano medio della televisione e delle istituzioni), non è corrisposto, per il momento, il livellamento della lingua privata, di quella che si sente sulla pelle, e che resta sempre il gergo, il gesto intraducibile, la grammatica degli iniziati. Fino ai risultati comici delle ragazzine che cantano il pop anglofono con l'accento veneto, tanto per buttare lì un esempio. Che cosa accadrà in futuro è ancora tutto da vedere. L'italiano medio trionferà nella forma privata come ha già fatto nella forma pubblica? Probabile, ma resta da vedere in quanto tempo otterrà il risultato. Ci sono zone d'Italia dove l'assorbimento linguistico anche delle generazioni più giovani chiederà tempo e sforzi immani, sforzi che nemmeno i brutti programmi televisivi degli ultimi vent'anni sono riusciti a mettere in campo.
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