Negare il finanziamento pubblico alle opere cinematografiche. Facciamo in modo che la cultura (il cinema di qualità è cultura con buona pace del Ministrone) si confronti con il mercato. Perdincibacco, aggiungiamoci. Ma qualcuno dovrà pur dire che la cultura non è parte del mercato e che se uno Stato degno di questo nome vuole avere un senso deve finanziare anche ciò che è economicamente improduttivo. Siamo al casino semantico prima che logico. Potrei dire che Van Gogh era economicamente un disastro (non vendette un quadro in vita) ma sarebbe troppo facile. Diciamo allora che la confusione tra qualitativo e quantitativo sta producendo mostri (e ministroni) incapaci di cogliere questa differenza, semplicemente perché ineducati all'estetica e a quella particolare facoltà umana che consente ad una persona di fare qualche cosa senza pensare necessariamente di venderla e di specularci sopra. "La qualità delle cose diventa, da essenza, manifestazione accidentale del loro valore", citazione da Minima moralia di Theodor W. Adorno. Il costo di un oggetto non è il suo valore. La matematica risolve a suo modo l'ignoto, ma sarà sempre una soluzione parziale e quindi insufficiente, perché questo tipo di incognita non è risolvibile entro i termini di un'equazione. Ma sto divagando. Un film è prima di tutto un'esperienza estetica, specie se è un film difficile, che quindi difficilmente troverà grossa accoglienza presso il vasto pubblico. Basta per rinunciare alla qualità? E' una sciocca domanda retorica. E che Roberto Rossellini venga lasciato riposare in pace.
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