un uomo chiamato Blatter

Secondo l'indefinibile Blatter, il calcio viene prima. Prima della povertà, prima di un popolo in lotta contro lo spreco di denaro pubblico. Prima, insomma, della realtà. E il bello è che nelle parole del vecchio padre padrone del calcio mondiale non c'è nessun tentativo di paradosso, nessuna provocazione: è davvero il suo pensiero. Il pensiero di uno dei tanti privilegiati eletti da nessuno aggrappati con i denti alla poltrona che ormai non hanno più nessun titolo per occupare. Un pensiero che nella senilità ormai avanzata lascia intravedere, come spesso accade, un infantilismo di ritorno, ma nell'istantanea deforme e indecente di una parodia. E allora la frase folle e bellamente irresponsabile di un anziano potente serve anche a gettare una luce sulla fitta trama di poteri che si intrecciano e si sostengono a vicenda nelle varie politiche mondiali. Economia, finanza, industria, ma anche calcio a quanto pare, che sotto la sua veste puerile e innocua nasconde la sintesi perfetta di tutte e tre le cose: economia, finanza, industria. Il calcio, e in senso lato lo sport se pensiamo al grande baraccone olimpico, rappresenta una delle grosse pedine dello scacchiere politico/affaristico di questo scorcio di epoca: un veicolo dal volto friendly che serve per fare altro. Blatter con i suoi modi disinvolti e la sua certezza di impunità, non fa che esercitare un potere, e lo fa nell'unico modo in cui il potere sa manifestarsi: in modo arrogante e anarchico. Ora si dice che Blatter, al pari degli altri vertici del calcio mondiale, sia fuori dal mondo, fuori dalla realtà, fatto probabilmente vero. Ma l'anziano manager non è certo più fuori dal mondo di tutti i papaveri dello sport che giusto un annetto fa si facevano promotori della candidatura italiana alle Olimpiadi, candidatura poi fortunatamente cassata dal governo Monti, che di fatto ha scongiurato un bagno di sangue finanziario e un grasso banchetto per la speculazione malavitosa. Essere fuori dal mondo è un privilegio di chi il mondo non è costretto a frequentarlo, di chi può permettersi di fare finta che la miseria e le diseguaglianze sociali esistano solo nelle raccolte fondi e nella carità organizzata. Di quella ristretta percentuale che può ancora contare su una liquidità spropositata anche in tempi di sprofondo come questi. Una ristretta percentuale che può permettersi di tenere in piedi un circo abnorme finanziandolo con quei soldi che tutti ci stavamo domandando dove fossero finiti.

dopo il fumo

C'era una volta B. Non bello, non colto, senza particolari competenze, ma grande istrione, grande improvvisatore e soprattutto grande venditore. Osannato come leader carismatico (mah...), addirittura indicato come l'iniziatore di un nuovo corso politico: quello dei partiti padronali. (Ricordo con terrore due sue amazzoni che non più tardi di tre o quattro anni fa si beavano in un talk show di come il loro capo fosse all'avanguardia in questo senso).  E così, con tanto fumo, l'intrepido imprenditore è riuscito a mettersi in tasca prima la destra italiana e poi tutto il paese. Distruggendo entrambe le cose. E ora che la polverina magica è finita, ora che le bugie sono andate a sbrendolo, il fumo si dirada, e scopriamo che non c'era niente. Niente ricchezza, niente novità. Solo un cumulo di fanfaluche, e tanta insipienza, quando non qualcosa di peggio. E ora fa quasi tristezza sentire i suoi lamentarsi - con non si capisce bene chi - che i voti li prendeva solo lui, B, e che questo spiega la disfatta del voto amministrativo. Pare a tratti che la destra italiana sia sul punto di riconoscere lo sbaraglio, ma è un'impressione fugace prima del solito arroccamento: servirebbe onestà intellettuale. Ma ormai i circolo vizioso è una trappola da cui questa destra non potrà più uscire, a meno di non riscriversi culturalmente e di buttare a mare tutte, ma proprio tutte, le scemenze di questi ultimi vent'anni. Dopo anni di scorciatoie, di miracoli e di altra fuffa variamente declinata, forse sarebbe ora di prendere il coraggio a due mani e cominciare da un semplice vocabolo: scusateci. Per poi ripartire da due o tre libri seri che non siano il prontuario Fininvest o altre carte protocollate dalle scuole televisive. Questa destra scoprirebbe che i partiti, anche di destra, non sono un affare personale, e che la politica non è la vinavil con cui il padrone incolla i cocci della sua disastrata esistenza. Ma bisognerà fare un po' di cose prima, e tutte agli antipodi della mentalità berlusconiana: farsi un po' di cultura, mettersi intorno a un tavolo a sviluppare delle idee serie e non i soliti slogan. Ma temo che il massimo che verrà fuori da questa attuale classe dirigente sarà il cambio del nome del partito. E l'hanno pure già fatto una volta. 

Voto Arjen Robben


Voto Robben perché non ha una triste storia alle spalle, e se ce l'ha non è andato a raccontarla a Roberto Saviano.
Voto Robben perché ha il fisico da calciatore, non da cavallo da monta. 
Voto Robben perché non è ambidestro.
Voto Robben perché non ha la media di un goal a partita.
Voto Robben perché non gioca in un campionato dove il capocannoniere segna 50 reti (e ditemi voi quanto può valere un campionato così).
Voto Robben perché non è un "I belong to Jesus". 
Voto Robben perché sa cosa significa perdere.
Voto Robben perché nonostante tutto lo massacrano di fischi.
Voto Robben perché non ama le cose semplici.
Voto Robben perché non lo candidano al Nobel per la pace. Nemmeno per provocazione.
Voto Robben perché ha un'onesta chierica.
Voto Robben perché non ha tatuaggi.
Voto Robben perché non fa la pubblicità dei Pavesini.
Voto Robben perché corre a 32 km/h senza tante scene.
Voto Robben perché quando segna non si toglie la maglia per far vedere gli addominali.
Voto Robben perché non scommette.
Voto Robben perché non si tira i calzettoni sopra alle ginocchia.
Voto Robben perché non piace ai giornalisti.
Voto Robben perché non convoca conferenze stampa. 
Voto Robben perché non è "l'erede di Maradona". 
Voto Robben perché non gioca a fare l'"esempio" in un mondo che è pieno di esempi edificanti e dove tuttavia va tutto alla malora.
Voto Robben perché in finale di Champion's ha segnato un goal così raffinato e così difficile che quasi nessuno l'ha capito.
Voto Robben perché li mette sempre nel sacco con la stessa finta, il che significa che non è mai la stessa finta. 
Voto Robben perché guardate la foto sopra.