L'affaire Regione Lazio ci fa precipitare di nuovo con i piedi per terra; dal loft tecnocrate con vista Berlino alla cucina in zona Suburra, le due facce della medaglia Italia che si prendono a sberle e non riescono a convivere. I sogni di gloria europea e il pantano di casa nostra, dal salotto buono della finanza che conta alla sgangherata politica delle nostre parti, tutta feste, mignotte e abbuffate. Un'Italia a nostra insaputa potremmo dire, riprendendo l'adagio che è ormai una frase fatta; un paese che pretende di svoltare (ma da quanti anni ci diciamo di volerlo fare?) e che poi affonda nelle sabbie mobili di un potere avido e fuori controllo, un potere arrogante e autoriferito che riesce a sopravvivere solo alzando sempre di più la posta e puntando così, a casaccio, soldi e onore, fiducia e tempo. Quanti casi Lazio ci sono in Italia? Domanda retorica a cui nessuno si degna di dare una risposta. Non un governo preso dalle alte mire internazionali che si è scordato chi siamo e in quale palude viviamo, non un'opinione pubblica molto ma molto distratta, che si è fatta sfilare sotto il naso il proprio paese, la propria città. E allora un'altra domanda oziosa: la classe dirigente che ci ritroviamo è la classe dirigente che ci meritiamo? Un tempo si diceva di no, che la gggente è sempre meglio di chi la guida; oggi scommetto che siamo in molti a porci seriamente la questione, come se i campanelli d'allarme fossero diventate le sirene del transatlantico che affonda, e ci accorgessimo che loro sono come noi: tengono famiglia, pensano alla pensione, ai figli, al mutuo, alle feste, all'aperitivo, alle vacanze. E allora tutto si spiega. Perché accade solo qui in Italia? Perché anche la classe dirigente è fatta da italiani spesso della specie più nefasta: quella del diritto confuso con il favore, del dovere con il piacere, della piaggeria con la cortesia, della solidarietà con la pubblicità. E poi la venerazione innata del piccolo borghese per il potere, qualunque esso sia: il Professore, il Dottore, l'Avvocato, l'Onorevole, il Commendatore, il Presidente. Categorie antropologiche accettate senza filtro critico, archetipi che agiscono sulla piccineria, sulla mediocrità del carattere, incutendo timore, garantendo protezione a patto di starsene buoni e non dire nulla. E a forza di non dire nulla, il naufragio. Sognavamo di iniziare una nuova narrazione al timbro cristallino di Goethe o Thomas Mann, ma ci ritroviamo sempre nel solito Satyricon petroniano.
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